Il numero di persone infette dal virus Ebola nell’Ovest della Sierra Leone non cessa di aumentare e si recensiscono oggi, circa venti morti al giorno, un dato decisamente preoccupante. Nella capitale Free Town e in periferia sono stati registrati solo nella giornata di lunedì, oltre 50 casi. Si contano 851 infezioni nei due settori chiamati “Zona Occidentale rurale e Zona Urbana”. La Sierra Leone, la Guinea e la Liberia sono i tre paesi maggiormente colpiti dall’epidemia manifestatasi nell’Africa dell’Ovest.
Per discutere del caso, ho coinvolto il giornalista di Servizio Pubblico (già noto come inviato della trasmissione “le Iene”), Pablo Trincia che si è recato a Monrovia e non solo, per documentare la drammatica situazione:
Dunque Pablo, l’Ebola pone interrogativi cruciali ai giornalisti che coprono, come hai fatto te, questo caso. Com’è possibile che i primi allarmi mandati da “Medici senza frontiere” siano stati ignorati?
“Sono stati ignorati finché si pensava fosse la classica malattia lontana che colpiva solo gli africani, di cui non frega niente a nessuno, men che meno ai direttori della stragrande maggioranza dei quotidiani e telegiornali. Quando poi ci si è resi conto che il virus è comunque figlio di un mondo sempre più piccolo e connesso, ce ne si è interessato. Ma da parte dei media italiani sempre in modo molto superficiale e approssimativo.”
Il virus ebola è un’urgenza umanitaria e medica. Sei stato fra Liberia e Sierra Leone raccontando l’epidemia che sta devastando l’Africa occidentale e creando psicosi nel resto del mondo. Quant’è drammatica la situazione a tuo avviso?
“Parecchio. Nei centri di Msf ed Emergency a Monrovia e Freetown arrivano ogni giorno casi nuovi, e nonostante la campagna di sensibilizzazione che ha reso la gente più vigile, tante persone continuano a morire.”
Nel mondo si è sviluppata una psicosi dalla conseguenze inattese: numerosi giornalisti esitano a recarsi nei paesi Africani. Quali sono i consigli da dare a chi è pronto a partire per queste zone?
“Non fatevi prendere dal virus della stupidità. I giornalisti devono informarsi prima di andare in qualsiasi posto a fare il proprio lavoro. Informarsi significa capire com’è davvero la situazione laggiù, senza farsi prendere dal panico da titolo di giornale. Andare oggi da quelle parti non è una passeggiata, ma non è meno rischioso della Siria o di alte zone di guerra.”
Si può guarire da Ebola?
“Certo, si può. È un virus aggressivo e pericoloso, ma tante persone sono guarite e hanno ripreso la loro vita.”
Negli ultimi giorni abbiamo assistito alle misure di sicurezza intraprese dagli Stati Uniti, in particolare da alcuni aeroporti. Il sindaco della grande mela ha tranquillizzato i suoi abitanti ribadendo la prontezza della città e degli organi di competenza contro il virus. Quant’è grande il rischio che il virus possa propagarsi in Italia o in altri paesi?
“Ci potrà sicuramente essere qualche caso, però in questo momento faccio difficoltà a immaginare che possa propagarsi anche da noi, al di là dei singoli casi.”

L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), ha redatto un bilancio il cui risultato evidenzia che sono tra i 5 000 e 10 000 i nuovi casi alla settimana che potrebbero dichiararsi nell’Africa dell’Ovest a partire dal prossimo dicembre. Siamo entrati in una fase che possiamo definire esplosiva? Tu che sei stato lì a documentare la situazione, che sensazione hai avuto?
“La sensazione che ho avuto è che in paesi con strutture sanitarie al collasso ci sia ancora moltissimo da fare, specie nelle aree rurali, dove non si ha il polso della situazione. Alcune famiglie verosimilmente hanno smesso di chiamare le squadre recupero morti in Liberia, perché sanno che il loro parente verrà cremato, e vogliono evitare che ciò avvenga. Sul numero non ti so dire se sia un’esagerazione per ottenere attenzione mediatica o meno, ma la situazione resta davvero molto seria, e ci vogliono fondi e personale sanitario che vada giù.”
Il rischio di propagazione nei paesi limitrofi quali la Guinea, la Sierra Leone e la Liberia è reale. Cosa ne pensi?
“È già in corso.”
Hai dimostrato un grande coraggio nel recarti a Monrovia. Alla BBC i truccatori hanno avuto paura di curarsi di alcuni inviati di ritorno da zone delicate come quella che hai visitato. Sofia Bouderbala, redattrice capo di “Europe Afrique” per l’AFP (Agence France Press), ha detto: “Questa è una minaccia invisibile, mentre sui terreni di guerra il pericolo lo vediamo”. Sei d’accordo con le sue parole? Coprire Ebola è più pericoloso del giornalismo di guerra?
“Ho avuto più paura in Siria, personalmente, e avrei comunque più paura a tornarci adesso che i giornalisti vengono rapiti per mesi o ammazzati. Coprire l’Ebola significa prendere precauzioni tipo evitare contatti fisici, disinfettarsi spesso mani e parti esposte, controllarsi la febbre. Se si prendono queste precauzioni è molto difficile ammalarsi. In guerra non sai mai cosa può accadere. La cosa brutta dell’Ebola è la stigmatizzazione che subisci quando torni. Molte persone ti vedono come una potenziale minaccia, e se ne fregano quando gli ricordi che non lo sei finché non hai i sintomi della malattia. È triste, ma purtroppo è così. Ma a me non interessa più di tanto. Ci tornerei mille volte in Liberia e Sierra Leone a coprire quella storia.”
Puoi darci un’anticipazione di cosa vedremo nel tuo prossimo servizio?
“Te lo scordi!!!”.
Di Manuel Giannantonio
(Twitter@ManuManuelg85)
29 Ottobre 2014