Scontri a Hong Kong: «Occupy Central» blocca il dialogo con il Governo

Hong Kong – Cosa sta accadendo a Hong Kong? La protesta pacifica di «Occupy Central with Love and Peace», immortalata da scatti colorati di ombrelli usati come scudi, di miriadi di luci dei cellulari verso il cielo e di bivacchi improvvisati in questo lungo sit-down per la democrazia e le libere elezioni, si è dovuta scontrare con la violenza di alcuni gruppi «anty-Occupy Central».
Tensioni inaspettate che venerdì 3 ottobre hanno stravolto una situazione avviata verso il dialogo. Un dialogo ormai sospeso, con Leung Chun-ying — capo dell’esecutivo che rimane saldamente ancorato al suo posto nonostante ripetute richieste di dimissioni — da una parte ad intimare lo sblocco delle strade entro lunedì, avvertendo che il Governo e le forze di polizia sono pronte a prendere «tutte le misure necessarie per ristabilire l’ordine sociale», e studenti ed attivisti dall’altra ad annullare gli incontri previsti con Carrie Lam, capo dello staff governativo e di fatto «numero due» del filo-cinese Leung Chun-ying, «non avendo altra scelta» dopo che le forze dell’ordine «hanno chiuso gli occhi di fronte agli atti violenti che hanno preso di mira manifestanti pacifici» in varie zone della città, soprattutto contro il presidio a Mong Kok, nella zona commerciale della penisola di Kowloon. Anche Causeway Bay ha subito violenti attacchi, proprio quando molti manifestanti esausti se ne erano andati dalla zona in quanto sembrava ormai certo un accordo. Il bilancio degli scontri è di diciannove persone arrestate e diciotto ferite.
Quali nello specifico i fatti di venerdì che hanno portato a questa situazione di stallo? Al sesto giorno di occupazione, gruppi «anti-Occupy Central» (distinguibili dal nastro blu), gruppi filo-governativi o semplici cittadini esasperati, hanno letteralmente assaltato gli accampamenti degli studenti, cercando di smantellarli. Centinaia di persone che, rompendo il cordone della polizia incapace di contenerli, hanno distrutto tende e manifesti pro-democrazia, con veri e propri assalti ai danni dei ragazzi, insultati, presi a calci e colpiti con bottigliette. Benny Tai, professore di diritto e fondatore del movimento di disobbedienza pacifica insieme al sociologo Chan Kin-man e al sacerdote battista Chu Yiu-ming, sostiene che il Governo abbia mobilitato anche le «triadi» mafiose di Kowloon — alcune per tradizione favorevoli a Pechino — pur di osteggiare la protesta, aggiungendo la paura alla stanchezza di questi giorni. Martin Lee, il settantaseienne fondatore del Partito Democratico di Hong Kong che che si è subito recato con un gruppo di militanti nella zona centrale di Admiralty, sostiene che quella di «usare la gente contro la gente per eliminare coloro che non gli sono graditi» sia «una tattica comunista» perché «a causa della presenza della stampa internazionale, la polizia non userà i gas lacrimogeni per mandare via i manifestanti», preferendo usare «i membri delle triadi per creare delle scene drammatiche e minacciare la gente».
Certo è che la maggior parte degli «anti-Occupy» era composta da uomini ben organizzati di età compresa tra i trenta e i quarant’anni, con abbigliamento informale, maglietta e calzoncini e tatuaggi ben visibili, che urlavano frasi in mandarino, cosa sospetta dato che la lingua ufficiale di Hong Kong è il cantonese. Sempre in mandarino erano gli ordini dati attraverso un megafono da una donna mascherata. Il tutto fa pensare più ad una azione programmata che ad una reazione spontanea dei cittadini. Non è una novità il fatto che il partito comunista abbia una lunga tradizione clandestina ad Hong Kong, maturata quando era ancora una colonia britannica.
In serata centinaia di sostenitori degli studenti sono accorsi per rafforzare il presidio di Mong Kok, mentre la zona centrale da Admiralty a Tamar rimane una roccaforte, con migliaia di persone presenti.
Un movimento quello di «Occupy Central with Love and Peace» nato appunto con l’intento di non usare la violenza nelle proprie rivendicazioni di democrazia e libertà in vista delle prossime elezioni del 2017. Per Leung un movimento destinato a fallire. Ma forse Leung non fa i conti con una protesta che segue un ideale. Nastro giallo e maglietta nera, a ricordare quella usata ogni anno durante le proteste in memoria del massacro di Piazza Tienanmen. Attivisti che hanno scelto come loro inno «Do you hear the people sing», tratta dal musical I Miserabili, cantata dai rivoluzionari parigini. Una silente marea bianca, quella di chi protesta, che non si lascia scoraggiare dai tentativi di bloccare le comunicazioni attraverso la rete cellulare e reagisce scaricando l’applicazione FireChat. Come gli ideali di Joshua Wong Chi-fung, che gira le spalle all’alzabandiera nel giorno della festa nazionale e che a soli diciassette anni fa tremare Pechino. Arrestato senza accuse a suo carico e rilasciato dopo quaranta ore. Un ragazzo che a soli quindici anni fonda il gruppo «Scholarism», organizza proteste studentesche contro l’«educazione patriottica per la Cina e il Partito Comunista» — un tentativo di indottrinamento nelle scuole di Hong Kong — e arriva a mobilitare centoventimila studenti in piazza nel settembre 2012, spingendo così il Governo a ritirare la proposta.
Quale sarà l’esito della mobilitazione che invade e paralizza le strade di Hong Kong in questi giorni? E come influiranno le tensioni ormai palpabili e crescenti? Quesiti aperti che attendono l’evolversi di una situazione ormai giunta ad un testa a testa. Il professore Benny Tai però non ha dubbi sulla durata della protesta e alla domanda «quanto potete resistere ancora?» risponde esausto «restiamo, fino a quando non avremo la democrazia».
Paola Mattavelli
6 ottobre 2014