Stati Uniti: essere di colore nel paese dello zio Sam
Dopo la tragedia di Ferguson, Nicole Bacharan, specialista degli Stati Uniti, analizza il dibattito sul razzismo ordinario. Punta la lente di ingrandimento sul razzismo mai dimenticato nel paese, evidenziando le difficoltà di essere un giovane afroamericano in America. Parola di Obama.
Una volta ancora, gli Stati Uniti si confrontano con la dolorosa problematica razziale. Dopo la morte di Mike Brown, un giovane di 18 anni, abbattuto dalla polizia a Ferguson, nel Missouri, violenti scontri hanno opposto manifestanti e forze dell’ordine in questa piccola città di periferia. Lunedì, il governatore di Stato ha deciso di ricorrere all’impiego della Guardia Nazionale. Nicole Bacharan, politologo e specialista del paese, fornisce un’analisi della situazione.
La polizia è vista come una forza di occupazione e Bacharan ricorda, ai microfoni di “Europe 1”, che la città di Ferguson è una comunità che non ha “mai affrontato la propria storia razziale, non ha mai avuto la sua ora di verità”. Nelle città vi sono stati grandi scontri tragici tra gli anni 60 e 70, sono state intraprese immediate riforme, specialmente l’impiego di numerosi poliziotti afroamericani per evitare che la polizia fosse vista come una mera forza di occupazione.
Evidenziando che gli scontri di Ferguson “restano circoscritti” e ancora “lontani”, come quelli di South Central (a Los Angeles), in cui morirono 58 persone nel 1992, Nicole Bacharan trova che gli scontri di oggi servono per comprendere un preciso contesto. Lo Stato del Missouri è effettivamente “uno stato molto particolare, diviso in due durante la guerra di secessione: la metà dei volontari sono partiti nell’esercito del Sud, l’altra metà nell’esercito del Nord”. Il periodo di segregazione è stato altrettanto difficile. “Quando i primi segni di segregazione hanno avuto luogo, ha avuto inizio la peggior diatriba razziale del paese a Saint-Louis. Vi sono stati oltre 300 morti”.
Come ovunque nel paese, i bianchi hanno lasciato la città e le zone di periferia. Risultato: “Ciò ha fornito alle periferie come quella di Ferguson, due terzi della popolazione di etnia afroamericana”. Ma in questa piccola città di 21 000 abitanti, il sindaco è bianco, come il consigliere municipale e come il consiglio accademico. “Ci sono 53 agenti di polizia, solo tre sono afroamericani”. “Gli abitanti dunque percepiscono sempre il sentimento di una polizia bianca che occupa, in un certo qual modo, i quartieri neri”.
Di fronte a questa situazione esplosiva, il 44° Presidente della storia degli Stati Uniti, ha una posizione molto particolare, proprio come il suo ministro della Giustizia, Eric Holder, che è afroamericano anche lui e che si trova oggi a reclamare la terza autopsia del giovane Brown per mano dei federali. Il Presidente è comandante capo del paese, responsabile della condotta della polizia, che non può controllare completamente ma che cerca di mantenere in forma accettabile. Lo stesso Obama ha parole per spiegare cosa significa essere afroamericano negli Stati Uniti, e in particolar modo, essere un giovane ragazzo di colore: “è pericoloso”. Il fatto è che oggi qualsiasi madre afroamericana che abbia un figlio adolescente che veste con jeans larghi, un cappello da basket e canottiera ha paura che possa fare la fine del giovane Brown.
Di Manuel Giannantonio
(Twitter@ManuManuelg85)
25 Agosto 2014