Fuoco in Bangladesh
Ciò che sta accadendo in Bangladesh ci mostra come la fiammella di una protesta pacifica possa trasformarsi nell’incendio di una rivoluzione antigovernativa, che ha messo a soqquadro il Paese nel giro di poche settimane. Nello scorso fine settimana, migliaia di manifestanti del Movimento degli studenti contro la discriminazione hanno bloccato le principali autostrade del Paese e preso di mira le stazioni di polizia e gli uffici del partito al governo, la Lega popolare bengalese. Due giorni fa, gli attacchi continui hanno portato alle dimissioni della prima ministra Sheikh Hasina e alla sua sostituzione con un governo di transizione, che per il momento sarà guidato dal premio Nobel per la pace Mohammad Yunus.
Ma cosa è successo nel Paese? Le proteste in Bangladesh sono cominciate a inizio luglio, all’interno dei principali campus universitari del paese, come proteste studentesche pacifiche contro il sistema di quote degli impieghi pubblici. La decisione presa dall’Alta Corte aveva stabilito che il 30 per cento dei posti di lavoro pubblici spettava ai familiari dei combattenti per la libertà della Guerra d’Indipendenza del 1971. La scelta è stata ritenuta da molti discriminatoria, in un paese dove i posti di lavoro pubblici sono pochi e il tasso di disoccupazione è elevato. Le proteste si sono poi allargate estendendosi ad altre fasce della popolazione, trasformandosi rapidamente in una rivolta contro il governo.
Alla prima ondata di manifestazioni, la ormai ex prima ministra ha reagito scegliendo di sopprimere il dissenso, ordinando la chiusura di scuole e università fino a data da destinarsi, schierando l’esercito a sostegno della polizia e imponendo un blocco ai servizi internet e telefonia, nonché un coprifuoco. Per questo, la contestazione è divampata ancora più forte, diventando antigovernativa. I manifestanti chiedevano le dimissioni di Hasina, che governava il Paese dal 2009 in maniera sempre più autoritaria.
La partecipazione a queste proteste è così ampia che vi stanno prendendo parte anche molte donne e soprattutto studentesse universitarie, che per legge anche prima dell’inizio degli scontri non avevano il permesso di uscire dai propri dormitori dopo le 21. In questo mese, le autorità hanno risposto alle manifestazioni con una violenta repressione, che ha portato all’uccisione di più di 300 persone, al ferimento di migliaia e all’arresto di oltre diecimila manifestanti. Le violenze che hanno scosso il Bangladesh non stanno però fermando le persone nelle piazze, determinate a contestare qualsiasi svolta autoritaria e scegliendo una linea ben precisa, quella della disobbedienza civile.