Siria: vento da guerra fredda
L’intervento degli Stati Uniti nella guerra civile siriana preannuncia un deterioramento dei rapporti Casa Bianca – Cremlino e rimanda il pensiero al periodo della Guerra Fredda
Obama, dopo le pressioni degli ultimi giorni, ha scelto di intervenire in Siria ai danni del regime di Bashar al-Assad presentando richiesta ufficiale al Congresso e motivando la sua scelta con il recente e probabile utilizzo di armi chimiche da parte delle truppe di Damasco ai danni della popolazione civile.
Mentre gli esperti delle Nazioni Unite stanno lavorando velocemente per fornire gli esiti delle ricerche e delle analisi dei dati raccolti in questi giorni con un tempo stimato pari a tre settimane, gli Stati Uniti hanno deciso di intervenire lo stesso in Siria non attendendo tali risposte; linea interventista perseguita da Obama, presidente che durante la prima campagna elettorale aveva attaccato l’amministrazione Bush per le guerre in Afghanistan ed Iraq, non curante del no incassato da Cameron in Gran Bretagna e dell’aperta opposizione della Russia che, tramite le parole del Presidente Vladimir Putin, considera la sua indecisione inspiegabile ed insensata. Quello che si sta profilando in questi giorni è quindi un mondo diviso tra chi appoggia l’intervento statunitense e chi vede invece nelle armi chimiche di Damasco un pretesto di Washington per tornare con preponderazza a giocare il ruolo principale nel teatro mediorientale. Il fronte di opposizione siriano si è addirittura mostrato critico nei confronti del ritardo degli Stati Uniti e della scelta del presidente di chiedere l’approvazione al Congresso, secondo quanto dichiarato da Samir Nashar, uno dei maggiori rappresentanti della Coalizione Nazionale Siriana, e dal portavoce della Coalizione Louay Safi il quale ha etichettato tale decisione come un “fallimento di leadership”.
Se l’Occidente è apparso diviso, con l’Italia decisa a seguire le disposizioni delle Nazioni Unite e per una volta pronta a distaccarsi dalla volontà di Washington, l’Iran e la Russia, due rivali storici degli Stati Uniti per differenti motivazioni, sono sembrati uniti nel condannare l’intervento militare di Washingotn. Il presidente russo Vladimir Putin sabato scorso aveva definito le voci inerenti l’uso delle armi chimiche da parte delle truppe di Assad come una “provocazione” perpetrata da parte di coloro il cui obiettivo è quello di coinvolgere paesi terzi all’interno del conflitto e guadagnare il supporto internazionale, tra cui proprio quello degli Stati Uniti, ed aveva ribadito la posizione non interventista del Cremlino. Scontro tra Mosca e Washington che riporta il pensiero al periodo della Guerra Fredda ed il meeting del G20 a San Pietroburgo che si terrà il 5 e 6 settembre viene visto dagli esperti come un momento decisivo nei rapporti Usa – Russia e fondamentale per gli sviluppi futuri della Siria ed in generale dell’area mediorientale.
Oltre alla Russia anche l’Iran ha condannato la posizione interventista degli Stati Uniti tramite le parole del primo portavoce donna della storia della Repubblica Islamica, Marzieh Afkham; durante il discorso inaugurale di oggi Afkham ha dichiarato che l’Iran si oppone ad ogni intervento militare da parte di una potenza occidentale in Siria perché Teheran è preoccupato dalle serie ripercussioni all’interno dell’area che tale azione militare potrebbe comportare facendola piombare in una crisi maggiore di quella che attualmente sta attraversando.
Aspettando la decisione da parte del Congresso statunitense è interessante notare come nei giorni scorsi gli Stati Uniti abbiamo fortificato i propri rapporti con le tre repubbliche baltiche di Lituania, Estonia e Lettonia grazie alla prima visita dei leader dei tre paesi baltici alla Casa Bianca da quando questi sono divenuti membri della NATO. L’incontro di Obama con Toomas Hendrik Ilves di Estonia, Dalia Grybayskaite di Lituania e Andris Berzins di Lettonia, ha focalizzato la propria attenzione sulla cooperazione nel settore sicurezza e commercio ed il presidente degli Stati Uniti ha definito come indivisibile la sicurezza degli Stati Unti e dell’Europa confermando il completo appoggio da parte di Washington verso le tre repubbliche baltiche ed il loro obiettivo di indipendenza, sovranità ed integrità territoriale. Entrambe le parti hanno affermato la volontà di cooperare nel settore delle sicurezza cibernetica e nel progetto di realizzazione dell’indipendenza energetica europea, che attualmente è legata direttamente alle forniture provenienti dalla Russia per quel che riguarda il gas, il petrolio, l’uranio ed il carbone.
Paesi baltici i quail erano stati annessi all’Unione Sovietica alla fine della Seconda Guerra Mondiale e che storicamente hanno da sempre avuto relazioni tese con Mosca fin da quando hanno ottenuto la propria indipendenza dopo la caduta dell’URSS orientando quindi il proprio sguardo verso l’Occidente, in special modo verso l’Unione Europea e la NATO; con il ringraziamento ufficiale dei tre leader delle repubbliche baltiche verso gli Stati Uniti presentato lo scorso venerdì ad Obama per essersi rifiutati di riconoscere Estonia, Lettonia e Lituania come repubbliche sovietiche durante la Guerra Fredda, si consolidano i rapporti ed i legami tra Washington ed il Baltico, un’area di importanza strategica primaria nello scacchiere mondiale perché hub logistico e commerciale capace di collegare l’Europa del nord con quella centrale, meridionale ed orientale, e snodo fondamentale durante la guerra in Afghanistan per le truppe statunitensi e della NATO il cui ruolo manterrà la propria importanza anche in ottica del ritiro delle forze ISAF previsto per il 2014. Area baltica contesa tra Stati Uniti e Russia con quest’ultima minacciata dalla presenza della NATO per i propri interessi commerciali e per la politica di influenza e controllo dell’Europa orientale che il Cremlino sta perseguendo in linea con le precedenti idee sovietiche.
Giuliano Bifolchi
2 settembre 2013