Cina, quando la politica del figlio unico rischia di diventare un boomerang
I dati demografici presentati dalla Cina alla fine del 2023 non hanno sorpreso nessuno. Questi hanno mostrato un continuo calo della popolazione totale, pari a due milioni di persone, più del doppio del calo del 2022.
Il tasso di fertilità è stato il più basso di sempre, pari a un figlio per donna, e c’è stato anche un leggero aumento del tasso di mortalità, probabilmente collegato alla repentina revoca delle rigidissime regole per il contenimento del COVID 19 alla fine del 2022, che ha portato a un forte aumento dei contagi e dei decessi.
Il regresso della popolazione cinese e il suo bassissimo tasso di fertilità fanno parte di una tendenza propria di tutta l’Asia orientale, con Giappone, Taiwan e Corea del Sud che registrano tassi di natalità tra i più bassi del mondo. Lo sviluppo economico e l’aumento delle opportunità di carriera e di vita per le donne, insieme ad una cultura familiare opprimente, hanno spinto molte donne asiatiche a allontanare la propria voglia di maternità. I demografi avvertono che tassi di fertilità così bassi potrebbero essere una vera trappola, laddove le norme sociali e le aspettative poste nell’avere una famiglia più piccola, si irrigidiscono e diventano molto difficili da cambiare.
Molti Paesi del mondo che hanno dovuto affrontare il problema della bassa fertilità hanno infatti riscontrato molte difficoltà nell’applicare politiche che esortano le donne ad avere figli, soprattutto quando i costi per farlo rimangono alti, l’aiuto del coniuge o compagno raro, e le discriminazioni sul lavoro, così come le discrepanze nella retribuzione rimangono evidenti.
La Cina affronta tutti questi problemi, ma con l’aggravante di avere un livello di sviluppo economico inferiore. A differenza di molti dei suoi vicini che sono diventati Paesi vecchi dopo essere diventati Paesi ricchi, la Cina è diventata vecchia prima che la sua popolazione potesse diventare “benestante”.
Ci sono diverse conseguenze negative che derivano dal rapido decadimento della popolazione cinese. L’invecchiamento della popolazione non è di buon auspicio per i consumi e le spese. La produttività potrebbe continuare a diminuire a meno che non vi siano forti investimenti nel capitale umano e nell’istruzione. Il sistema di assistenza sociale sarà insostenibile man mano che la popolazione di pensionati aumenterà e quella attiva diminuirà rapidamente. Anche se i politici cinesi si sono a lungo preoccupati di come gestire una popolazione troppo numerosa, il rapido successo del controllo della crescita demografica derivata dalla politica del figlio unico in vigore dal 1980 al 2016, ha ora portato alla crisi opposta: la Cina sta invecchiando troppo rapidamente e la sua popolazione è in calo vertiginoso.
Ma, se possibile, c’è di peggio. Mentre il calo della popolazione cinese assomiglia a quello dei Paesi vicini, i problemi che pone sono esacerbati da alcune delle caratteristiche uniche del sistema politico cinese. Tra questi troviamo la separazione città-campagna, rafforzata dal sistema di registrazione delle famiglie chiamato “hukou”, talvolta paragonato a una forma di sistema di caste perché fonte di molte diseguaglianze visto che i residenti urbani hanno da sempre ricevuto benefici (pensione, istruzione, assistenza sanitaria…), mentre quelli rurali sono stati spesso lasciati a loro stessi, il tutto inasprito dalle differenze regionali e una politica di pensionamento estremamente anticipato, che impone che le donne vadano in pensione a 50 anni per i colletti blu, e 55 nei lavori impiegatizi, mentre gli uomini vanno in pensione a 60 anni.
Queste politiche sono disfunzionali per una serie di aspetti. Sono in parte responsabili dell’elevata diseguaglianza della Cina. Mettono in pericolo la sua futura crescita economica e fanno sì che la discriminazione nei confronti delle popolazioni rurali possa riprodursi nelle generazioni a venire.
Purtroppo, le riforme impellenti del sistema di registrazione delle famiglie, del sistema di previdenza sociale e dell’età pensionabile sono troppo lente.
Sotto la presidenza di Xi Jinping, alcune misure sembrano addirittura essere tornate indietro, come l’inasprimento delle misure “hukou” per le città più ambite della Cina, che limita la possibilità dei residenti rurali di stabilirsi in modo permanente in luoghi dove hanno lavorato e vissuto per decenni.
Perché queste politiche sono così dannose per il futuro economico e demografico della Cina? Il sistema pensionistico e di assistenza medica, pur essendo straordinariamente esteso coprendo quasi il 90% della popolazione totale, è diviso tra dipendenti urbani, che lavorano nel settore formale o nel governo; residenti urbani, che vivono in aree urbane ma lavorano in modo informale o in proprio; residenti rurali. A quest’ultima categoria appartengono coloro che vivono nelle aree rurali e i quasi 300 milioni di persone di origine rurale che lavorano nelle città, di solito in modo informale. Le politiche e i pagamenti per questi gruppi sono incredibilmente sbilanciati, incoraggiando i lavoratori delle città ad andare in pensione anticipata e godere di una pensione generosa, mentre costringono i residenti rurali e gli immigrati a lavorare fino ad età avanzata e senza previdenza sociale.
Come mostra un recente rapporto della Banca Mondiale, i dipendenti urbani vanno il più delle volte in pensione come previsto per legge (all’età di 50, 55, 60 anni) e percepiscono una pensione media di ¥3000 yuan al mese, circa la metà dei loro salari prepensionamento. Al contrario, i residenti rurali percepiscono una pensione di ¥90 yuan, solo il 3% delle loro controparti cittadine. A causa della scarsa copertura in campo di previdenza sociale per le popolazioni rurali della Cina, queste non possono andare in pensione prima dei 70 anni, nonostante abbiano quasi sempre condizioni di lavoro più dure e maggiori probabilità di malattie e infortuni professionali.
Questo è palesemente ingiusto, ma anche inappropriato nel mitigare il rapido invecchiamento demografico della Cina e la pressione che esercita sulla sua economia e sul sistema di previdenza sociale. A causa del divario pensionistico, solo i lavoratori privilegiati delle città beneficiano del pensionamento anticipato e pensioni generose. Questo fa sì che le persone con istruzione e competenze più elevate, e quindi il maggior capitale umano, lasciano la forza lavoro molto prima del necessario o del dovuto. Questo non fa ben sperare per i piani della Cina che vedono proprio sulla riqualificazione del proprio capitale umano per supportare la sua economia, mentre la popolazione attiva diminuisce rapidamente.
I lavoratori che migrano dalle campagne in cerca di fortuna in città sono giovani, ma troppo spesso svolgono lavori che gli abitanti delle città non vogliono svolgere perché ritenuti umilianti o sottopagati. A causa dell’applicazione lassista delle norme e regolamenti sul lavoro, i lavoratori rurali vengono prevalentemente impiegati nel settore informale o incoraggiati a effettuare versamenti solo nei programmi assistenziali delle loro zone di origine. Ma raramente contribuiscono al programma di assistenza sociale previsti per gli impiegati originari delle città e che foraggia i loro stipendi. Se ciò fa sì che i migranti rurali siano privati di generosi benefici, impedisce anche che questa enorme giovane forza lavoro – 300 milioni di persone – versi contributi a un sistema di previdenza sociale che sta diventando insostenibile senza la loro partecipazione.
I principali cambiamenti politici indicati da tempo includono l’innalzamento dell’età pensionistica e l’uniformizzazione dei sistemi di previdenza sociale. Perché questo progetto è così difficile da attuare? L’innalzamento dell’età pensionabile riguarda solo i lavoratori urbani privilegiati e i dipendenti pubblici del settore formale. Ma questi sono anche i settori più potenti della società restia a rinunciare a tanti privilegi, o privarsene in parte. Mentre il governo ha annunciato l’intenzione di attuare un graduale aumento dell’età pensionabile, non è emersa alcuna politica specifica.
I demografi stimano che queste politiche graduali, anche se attuate, potrebbero non essere sufficienti a scongiurare il fallimento dei sistemi pensionistici e di assistenza medica.
L’unificazione del sistema di welfare in Cina si scontra anche con importanti ostacoli politici. Poiché la condivisione sociale avviene attualmente nella maggior parte della Cina solo a livello di province o città, l’unificazione del sistema non può procedere senza una maggiore centralizzazione. Ma ciò richiederebbe che i centri abitati più ricchi condividessero le già limitate risorse con quelli più poveri, cosa alla quale hanno resistito per molto tempo. Da parte sua, il governo centrale non è disposto ad assumersi l’incredibile onere economico nei confronti di un sistema di previdenza sociale a rischio di fallimento.
Le riforme minacciano anche i dipendenti delle città che godono di pensioni che si avvicinano agli standard delle economie sviluppate. L’unificazione di un sistema di previdenza sociale in cui più di 800 milioni di persone classificate come resistenti rurali vanno in pensione con retribuzioni molto basse implica necessariamente che i generosi benefit dei residenti delle città dovranno ridursi per espandere l’accesso a più persone. Proteste sono già scoppiate quando alcune province hanno provato ad allargare l’accesso a questi vantaggi a nuovi gruppi.
Alcuni funzionari cinesi hanno respinto l’idea di urgenza nei confronti del tema della diseguaglianza, sostenendo che in un Paese a medio reddito come la Cina, l’obiettivo primario è far sì che la torta diventi più grande per poi ridividerla in modo equo. Ma la realtà demografica della Cina è disastrosa. Aspettare che il Paese diventi ricco per risolvere i problemi che ne derivano, significa che probabilmente la Cina ricca non lo diventerà mai.