Choke point: un intramontabile asset strategico
Sono passati diversi secoli, ormai, da quando i maestosi velieri dell’Impero Britannico solcavano i mari di tutto il globo, garantendo protezione e sicurezza sulle rotte commerciali e proteggendo i propri interessi strategici da azioni ostili condotte da predoni e da altri grandi imperi del tempo. Al fine di supportare i commerci e i movimenti del naviglio, militare o commerciale che fosse, era stato garantito il controllo su importanti territori collocati in punti di passaggio obbligatori o altamente simbolici. Generalmente, si trattava di quelle fasce di mare dove due lembi di terra si trovano ad una distanza assai ridotta, agevolando così il controllo del traffico nell’area. Tra di essi, tanto per fare un esempio, vi sono la celebre Gibilterra, lo stretto di Malacca e lo stretto di Singapore. Il primo, come facilmente intuibile, permette un controllo di tutti i collegamenti tra mar Mediterrano e Oceano Atlantico, mentre gli altri due stretti rappresentano la chiave per il dominio delle rotte tra l’oceano Pacifico e l’Oceano Indiano.
Si tratta di luoghi che, secondo i termini tecnici di strategia militare, prendono il nome di “Choke point” – in italiano “colli di bottiglia” – ossia tutti quei punti di passaggio obbligatori per un esercito, una flotta o per una rotta commerciale. Sebbene gli esempi più conosciuti e famosi siano spesso legati al mare e agli oceani, trattandosi soprattutto di stretti, i colli di bottiglia si trovano comunemente anche su terra, sotto forma di un tunnel, un ponte, una strada obbligatoria o un passo di montagna. Nel corso dei secoli, questi punti strategici sono sempre stati sfruttati a dovere – e di conseguenza altamente contesi tra regni, nazioni e imperi – al fine di ottenere un vantaggio su un avversario o per determinare l’esito di una battaglia o di un conflitto di più lunga durata. Non è un caso, infatti, che gli spartani si siano radunati alle Termopili per contrastare l’avanzata persiana, così come non è un caso che, nel corso della Grande Guerra, le truppe dell’Intesa e turche si siano a lungo massacrate nella campagna di Gallipoli, che mirava ad ottenere il dominio sullo stretto dei Dardanelli.
Nonostante il mondo sia completamente cambiato, ormai, e la tecnologia abbia prevalso su importanti ambiti della vita quotidiana, compreso l’ambito militare e le sfide di proiezione strategica, la necessità di avere un fermo controllo su questi punti di passaggio rimane, ancora oggi, un obiettivo di fondamentale importanza per tutte quelle potenze, regionali o globali che siano, che ambiscono ad incrementare o a difendere il proprio potere in un determinato contesto. Con lo spostamento del baricentro mondiale verso Oriente, la lista dei choke point principali si è allungata ancora di più. Luoghi come il canale di Suez, lo stretto di Hormuz, lo stretto di Malacca e lo stretto di Bab el-Mandeb sono divenuti di primaria importanza per il controllo dei traffici mondiali, con enormi ricadute in ambito economico, strategico e politico. Qui, un qualsiasi evento, anche un singolo incidente come avvenuto nel corso degli scorsi anni con l’arenamento di un cargo commerciale nel bel mezzo del canale di Suez, può avere conseguenze devastanti sulle economie mondiali, soprattutto se viene a crearsi un blocco di lunga durata.
Non a caso, proprio in questi giorni, le milizie sciite yemenite Houthi, ormai pesantemente legate a Teheran e al Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, hanno lanciato una serie di attacchi mirati alla distruzione e alla cattura di numerosi cargo commerciali stranieri impegnati nell’attraversamento di Bab el-Mandeb. Si tratta della reazione più semplice e efficace possibile per i vertici del movimento che, tramite l’adozione di un’azione di guerra irregolare, possono colpire gli interessi economici di Stati Uniti e Israele. Sebbene il traffico navale nell’area sia ancora attivo, l’azione armata ha provocato l’immediata reazione di numerose nazioni, che assistono con preoccupazione agli eventi.
Spostandosi, invece, all’interno del sud-est asiatico, la situazione sul campo è assai più tranquilla al momento, non essendoci il rischio di azioni ostili all’interno dello stretto di Malacca. Tuttavia, questa regione del mondo rappresenta uno dei punti di massima attenzione per quanto riguarda i futuri eventi dell’area asiatica e del Pacifico. Oltre all’interesse che i paesi vicini nutrono nei confronti dello stretto, vi è anche quello di due giganti i cui confini nazionali si trovano a migliaia di chilometri di distanza da quelle acque. Stati Uniti e Cina, infatti, identificano il controllo sullo stretto come uno degli elementi fondamentali in caso di tensioni attive. Questa via d’acqua, non a caso, rappresenta il principale collegamento – così come la via più breve ed economica – per rifornire il territorio cinese con innumerevoli risorse provenienti dall’area mediorientale, petrolio prima di tutti.
Per quanto il futuro di tutte queste regioni sia ancora piuttosto incerto, risulta ovvio che lo scontro tra attori di media e grande potenza sia destinato, anno dopo anno, a farsi sempre più attivo e reale, con una sempre maggiore necessità di stabilire un primato sui choke point. A questo punto, non si può far altro che puntare gli occhi su questi piccoli lembi di mare, proprio come se ci si trovasse di fronte ad una scacchiera.