Il dominio del XXI secolo: Alessandro Aresu e il confronto tra Stati Uniti e Cina

Morris Chang, Zhang Yiming, Robin Zeng, nomi che intersecano per entropia il nostro quotidiano non lasciando quasi traccia nella nostra memoria distratta, mentre le loro aziende si impongono nella grande battaglia nel XXI secolo: il controllo della supply chain per la tecnologia. È il ritorno fragoroso della manifattura sul campo della scena mondiale e il centro non è più il Vecchio Continente e il Nuovo Mondo ma il gigante, ormai non più dormiente, dell’Asia.
Finanza, servizi e decoupling hanno illuso l’Occidente che il tempo della materialità produttiva, della fabbrica fosse ormai alle spalle. Delocalizzazione degli impianti industriali, fine dell’estrazione mineraria e della produzione hanno stretto un tacito patto con la globalizzazione, ma gli accordi non sono mai a costo zero e ora sembrano chiedere un caro conto, l’obsolescenza tecnologica europea e statunitense rispetto all’avanzata del colosso cinese.
Semiconduttori, mobilità elettrica e tecnologia green sono le nuove frontiere dello scontro che vede la trappola di Tucidide concretizzarsi nel conflitto globale tra Stati Uniti e la burocrazia celeste di Pechino, mentre l’Europa rimane ancora immersa nel suo letargo di regina della normatività ma senza reale peso specifico.
Come spiega Alessandro Aresu nel suo nuovo libro edito da Feltrinelli, Il dominio del XXI secolo, è la capacità di comprendere i fenomeni globali, di governare le complesse reti delle catene del valore, la vera sfida per la supremazia tecnologica di oggi e domani. Nell’era della shortage economy, definizione cara all’Economist, è la sicurezza nazionale la vera regina delle strategie economiche, sfumando i processi produttivi in una sinergia con le nuove scoperte tecnologiche e, conseguentemente, con il pericolo per gli interessi fondamentali delle nazioni.

Fuori bersaglio appare la discussione sullo stato innovatore o sul libero mercato. La vera risorsa nell’epoca della sensibilità assoluta della supply chain è il deep state, la profondità del sistema strategico che gestisce e alloca risorse individuando i nodi e i corridoi complessi di materie prime, talenti e alleanze imprenditoriali su scala globale.
Senza la comprensione delle connessioni per la sfida tecnologica non si può allora comprendere il significato del confronto per Taiwan, la terra di Morris Chang, l’imprenditore e padre di TSMC, il più grande produttore di semiconduttori del mondo né tanto meno la sfida lanciata dal sanzionismo americano nei confronto di una Cina sempre più potenza manifatturiera e tecnologica.

Senza tali analisi sfugge allo stesso tempo, come spiega Aresu, anche la fitta rete che lega la Cina ai grandi impianti estrattivi del litio in Australia e del Sud America (il c.d. triangolo del litio formato da Argentina, Cile e Bolivia) o ai forti investimenti nelle miniere di cobalto della Repubblica del Congo. È la febbre delle Terre Rare, minerali fondamentali per le loro capacità termiche nella corsa per la produzione di batterie elettriche per mobilità e tecnologia green, settore nei quali domina proprio il Dragone cinese.
La supremazia tecnologica sarà sempre più legata alla capacità della politica e delle imprese private di allocare in modo strategico le risorse a disposizione sulla vasta struttura reticolare che unisce, nell’attuale contesto dei processi produttivi, tutte le fasi della catena del valore, sia upstream che downstream. Trovare i talenti nella ricerca, costruire impianti ad alto valore tecnologico, reperire e raffinare le materie prime fondamentali, saranno solo alcuni dei punti fondamentali che uniranno competenze trasversali molto diverse tra loro, dagli ingegneri, ai geologici ai chimici fino agli esperti di analisi geopolitica e supply chain.