Cuba: quando la repressione bussa alla tua porta

Fino a un mese fa, la repressione violenta era per molti cubani un’esperienza straniera, una storia raccontata da altri e da dubitare quando veniva raccontata dall’opposizione o da giornalisti indipendenti. Sembrava così, fino all’11 luglio, quando in molti hanno confermato in carne ed ossa che gli arresti arbitrari, i pestaggi, gli spogli e le umiliazioni nelle stazioni di polizia o il silenzio delle autorità sul luogo in cui si trova un detenuto non erano fantasie o bufale di pochi.
Lo scrittore dissidente cubano Ángel Santiesteban ha dichiarato di essere in pericolo e perciò da settimane vive clandestinamente all’Avana, nascondendosi dalle autorità del regime che vogliono arrestarlo per aver preso parte alle proteste scoppiate nell’isola l’ 11 luglio 2021. Lo scrittore vuole evitare la sorte toccata a molti dei suoi concittadini che sono scesi in pizza per manifestare contro il regime: essere prelevati da casa e incarcerati in attesa di un processo.
Le proteste
La miccia delle proteste si è accesa a San Antonio de Los Baños, una cittadina a circa 25 chilometri a sud dalla capitale l’Avana, per poi estendersi poco dopo a tutte le principali città cubane. Migliaia di cittadini sono scesi in piazza al grido di “Libertà” e “Patria y Vida” – in chiara contrapposizione con lo slogan rivoluzionario “Patria o muerte” – chiedendo le dimissioni del governo del presidente Miguel Diaz-Canel. Le ragioni che infiammano gli animi dei cubani sono molteplici: un’imperante crisi economica, la grave carenza alimentare e di generi di prima necessità, e una cattiva gestione della pandemia da COVID-19 che sta causando il collasso del sistema sanitario.

Si tratta di un fenomeno politico e sociale di grande importanza, sono infatti le più ampie e partecipate proteste antigovernative dai tempi della rivoluzione castrista del 1959. Se si considera il periodo storico, il tutto assume una rilevanza ancora maggiore. Dal 19 Aprile infatti, dopo 62 anni, non c’è più un membro della famiglia Castro alla guida di Cuba. Il novantenne Raúl Castro – succeduto al fratello Fidel alla guida del paese – ha passato il testimone al più giovane Miguel Díaz-Canel. Tuttavia, il cambio generazionale non ha è stato accompagnato da alcuna evoluzione politica, e la popolazione si trova a dover convivere con una svalutazione del 2.400% del peso cubano
La risposta del regime
Il regime ha risposto alle proteste con la violenza. Per la prima volta in decenni è intervenuta la polizia in tenuta antisommossa e la sera dell’11 luglio il governo ha bloccato la connessione a internet per evitare la diffusione di immagini e video dei disordini e per impedire che i manifestanti si organizzassero online. Il regime, padrone incontrastato di tutti i mezzi di comunicazione dell’isola – radio, giornali e canali televisivi – manipola le notizie negando abusi e violazioni di diritti umani.
La strategia del regime è molto chiara: indossare i panni della vittima e non dell’aggressore per vendere l’immagine che ciò che è successo a Cuba sia un’operazione concepita negli Stati Uniti – invece che una reazione spontanea all’indignazione sociale del popolo – e giustificare così la sua feroce repressione. Certo, gli ammiratori della rivoluzione cubana danno la colpa alle sanzioni economiche imposte da Donald Trump e confermate dall’attuale presidente Joe Biden. Mentre i critici del castrismo interpretano le proteste come un chiaro fallimento del Partito Comunista di Cuba e di una rivoluzione ormai stanca dopo più di mezzo secolo. La realtà si trova probabilmente nel mezzo. Se da un lato è evidente che le sanzioni commerciali e finanziare imposte dagli Stati Uniti complichino la vita della popolazione, dall’altro c’è un sistema che alimenta il discontento sociale.
Ora che il baccano nelle strade è cessato, e i riflettori internazionali sono puntati su altri lidi, i cubani devono affrontare da soli i postumi delle proteste. Una sbornia che conta – stando alle stime del centro di informazione legale Cubalex– all’incirca 760 cubani scomparsi, o detenuti in prigione o nelle proprie abitazioni come misura precauzionale. Le reti sociali dei cubani sono inondate di rapporti che riportano di persone scomparse, minori imprigionati, processi sommari, e torture. Tutto sembra indicare che il regime è pronto a far pagare caro ai manifestanti il prezzo del disturbo arrecato, una dura lezione che serva da monito per prevenire l’insorgere di altre rivolte popolari.

Che ne è stato di Davide che sconfisse Golia?
L’ art 1 della Costituzione cubana sancisce che:
“Cuba è uno Stato socialista di diritto e di giustizia sociale, democratico, indipendente e sovrano, organizzato con tutti e per il bene di tutti come repubblica unitaria e indivisibile, fondata sul lavoro, sulla dignità, sull’umanità e sull’etica dei suoi cittadini per il godimento della libertà, dell’equità, dell’uguaglianza, della solidarietà, del benessere e della prosperità individuale e collettiva”.
C’è da chiedersi cosa rimane di quel sogno di libertà socialista che un tempo rappresentava quest’isola dell’Atlantico settentrionale, bastione (simbolico) di fronte all’imperialismo statunitense.
Che ne è stato di Davide che sconfisse Golia? Forse era solo un miraggio.