Si inasprisce il conflitto in Etiopia
Resta esplosiva la crisi in Etiopia. Se la situazione non cambierà, avverte l’UNHCR, 200 mila rifugiati etiopi potrebbero riversarsi in Sudan nei prossimi sei mesi.
La violenza si sta intensificando in Etiopia, dove Abiy Ahmed – un leader un tempo lodato a livello internazionale per il suo programma di riforme e di pace con la vicina Eritrea – si trova ora ad affrontare lo spettro della guerra civile che vede schierati da un lato i militari nazionali e dall’altro le forze del TPLF (Tigray People’s Liberation Front).
L’esercito contro i ribelli del tigrai
Il 4 novembre il governo centrale ha lanciato un’offensiva militare contro le autorità dello stato federale del Tigrai per rappresaglia contro un presunto attacco dei ribelli tigrini a due basi federali. Alcuni giorni dopo, il 9 novembre, secondo Amnesty International, a Mai Kadra, nel sudovest del Tigrai, centinaia di civili sono stati massacrati. I sopravvissuti, del gruppo etnico amhara, hanno dichiarato all’ong che gli aggressori erano miliziani del TPLF che li hanno aggrediti per vendetta.
Il 13 Novembre dei razzi sono stati lanciati dal TPLF contro le città di Bahir Dar e Gondar, nella confinante regione dell’Amhara, e il giorno dopo altri tre razzi su un aeroporto di Asmara, capitale della vicina Eritrea, accusata di aver inviato truppe al confine per aiutare il governo etiope. Nonostante la pace raggiunta nel 2018 tra l’Etiopia e l’Eritrea, una profonda animosità ancora alimenta le relazioni tra il presidente eritreo Isaias Afwerki e il TPLF, indurito dal devastante conflitto che tra il 1998 e il 2000 ha causato la morte di circa 70.000 persone. Infine, il 20 novembre, Abiy Ahmed ha annunciato la conquista delle città tigrine di Axum e Adwa da parte dell’esercito etiope, e ieri della città di Idaga Hamus a 97 km da Macallè. Sempre di ieri è l’ultimatum del primo ministro dato ai ribelli prima dell’offensiva finale sulla capitale regionale, si legge su twitter:” Ai membri della cricca distruttrice del Fronte di Liberazione del Tigrai: il vostro viaggio di distruzione è arrivato alla fine. Arrendetevi pacificamente entro le prossime 72 ore, ammettendo di aver raggiunto un punto di non ritorno”.
Migliaia di civili in fuga
L’escalation delle ostilità sta causando un esodo di massa verso i paesi limitrofi. Si calcola che in poco meno di un mese centinaia di persone siano morte sotto il fuoco incrociato degli scontri e che circa 32.000 siano fuggite in Sudan. Se le ostilità non cesseranno, l’ONU prevede un flusso di 200.000 profughi nei prossimi sei mesi. Antonio Guterres, segretario delle Nazioni Unite, ha richiesto l’apertura di corridoi umanitari per assistere i civili. Intanto in Sudan è stato riaperto d’urgenza il campo di Um Raquba per accogliere gli etiopi in fuga di cui, secondo l’UNHCR, la metà sono bambini.
Dure sono le critiche della comunità internazionale, che chiede un cessate il fuoco immediato. Il 21 novembre, l’Unione Africana ha nominato tre inviati per promuovere l’avvio di negoziati, ma Abiy ha rigettato la proposta di mediazione. Mentre dalla Norvegia il Comitato per il Nobel ha dichiarato “di monitorare la crisi in Etiopia”.
L’Etiopia come la Jugoslavia?
A causa del blocco di internet e delle linee telefoniche imposto dal governo etiope, è difficile reperire informazioni sul conflitto, ma purtroppo entrambi gli schieramenti sembrano determinati a intensificare gli scontri. Gli esperti temono che l’Etiopia delle dieci province, un mosaico di etnie, stia vivendo il suo momento “jugoslavo”.