Dai missili alla diplomazia, la nuova politica estera della Corea del Nord

Dopo l’escalation nucleare con l’America Kim ha cambiato strategia puntando sui vertici politici di alto livello con Corea del Sud, Stati Uniti, Cina, Russia e persino con la Siria
Solo pochi mesi fa sembrava che il mondo fosse tornato indietro di sessant’anni e di rivivere la Guerra fredda: la Corea del Nord continuava a fare test missilistici e a sviluppare il proprio programma, l’America di Trump rispondeva a muso duro sfoggiando tutta la propria forza fatta di portaerei e minacce di guerra e il mondo stava a guardare mentre i missili sorvolavano il Giappone e la flotta di Washington si dirigeva verso la penisola coreana.
Poi, improvvisamente, Kim Jong-un ha stupito tutti aprendo i canali diplomatici e interrompendo un isolamento che durava dagli anni Cinquanta.
Il disgelo olimpico – I colloqui tra Seul e Pyongyang si sono intensificati a partire da gennaio quando, in vista delle Olimpiadi invernali che si sarebbero tenute nella Corea del Sud, è stato deciso che una squadra di hockey femminile mista Nord-Sud avrebbe rappresentato i due Paesi congiuntamente. Alla cerimonia di apertura erano presenti il Presidente sudcoreano Moon Jae-in, la sorella del leader nordcoreano Kim Yo-jong (la prima esponente della famiglia Kim in visita nel sud dal 1948) e il Capo di Stato de facto del nord, Kim Yong-nam.
La squadra di atleti ha gareggiato sotto la bandiera della Corea unificata che mostra il disegno della penisola in blu su fondo bianco. Ancora una volta lo sport ha funzionato meglio della politica e il Comitato Olimpico Internazionale ha portato a casa un risultato epocale facendo dialogare e gareggiare insieme due nazioni divise da settant’anni.

Una storica stretta di mano – Dalle Olimpiadi l’operato di Kim Jong-un nell’arena internazionale è parso più orientato alla cooperazione che al conflitto e alle dimostrazioni di forza. In questo senso è stato interpretato a marzo il suo viaggio in Cina, il primo all’estero in veste di capo di stato.
Il punto di svolta nella politica estera di Pyongyang è però arrivato il 27 aprile quando i leader delle due coree si sono incontrati faccia a faccia per la prima volta. Kim e Moon si sono stretti la mano a cavallo del confine e poi hanno simbolicamente fatto un passo l’uno nel territorio dell’altro. Si è trattato del secondo summit inter-coreano dopo quello del 2007. L’intento di Seul e di Pyongyang di denuclearizzare la penisola è stato formalizzato con la Dichiarazione di Panmunjom (dal nome della città nella zona demilitarizzata tra i due Paesi in cui è stata siglata) dopo uno storico incontro durato alcune ore sul confine tra il nord e il sud. I due leader si sono accordati anche per stipulare un trattato di pace per sancire definitivamente la fine della Guerra di Corea, mai ufficialmente cessata dal 1953 (al momento è in vigore solo un armistizio).
Meno eclatanti ma non meno importanti sono stati anche gli atti simbolici di distensione tra le due metà della penisola, come l’immediato arresto della propaganda dagli altoparlanti al confine, le concessioni per la riunificazione delle famiglie divise tra nord e sud e la pianificazione di infrastrutture di collegamento tra i due Paesi.
Gli incontri con Cina, USA e Russia – Nelle ultime settimane si sono moltiplicati i rapporti diplomatici ad alto livello della Corea del Nord, soprattutto con le grandi potenze mondiali. Kim a inizio maggio ha visitato la Cina per la seconda volta in due mesi incontrandosi con il suo omologo cinese Xi Jinping. In questa occasione i legami tra Pyongyang e Pechino (suo principale partner commerciale) si sono rafforzati per via dell’intenzione della Cina di voler sostenere la crescita economica nordcoreana alleggerendo anche le sanzioni delle Nazioni Unite attualmente in vigore contro il piccolo paese asiatico. Da sottolineare anche la pianificazione di un viaggio di Stato di Xi in Corea del Nord previsto per giugno.
Un tale cambiamento nella linea diplomatica nordcoreana non è passata inosservata a Washington e il Presidente Trump, dopo il colloquio Kim-Moon e la promessa delle denuclearizzazione della penisola, si era detto felice di questi nuovi sviluppi.
L’incontro al vertice tra il tycoon americano e il leader asiatico era previsto per la primavera ma alcune questioni (tra cui alcune esercitazioni militari congiunte tra Washington e Seul non gradite a Pyongyang) hanno portato all’annullamento della prima data e a fissare un nuovo incontro per la metà di giugno a Singapore, un terreno neutrale.
Come ulteriore segnale di apertura è stato smantellato il sito nucleare di Punggye-ri, facendo assistere diversi giornalisti ad una serie di esplosioni controllate per far crollare le strutture dell’area.

Anche i colloqui con la Russia, l’altro grande attore della regione e uno dei più importanti partner commerciali ed energetici della Corea del Nord, si sono intensificati nell’ultimo periodo. Dopo la visita del Ministro degli Esteri di Mosca, Lavrov, a Pyongyang, è stato addirittura il Presidente Putin a invitare Kim Jong-un a Vladivostok nel prossimo mese di settembre per assistere all’Eastern Economic Forum e visitare il Paese. Nel prossimo autunno sono invece previste le visite in Corea del Nord del Presidente della Duma (la Camera bassa del Parlamento russo), della Presidente del Senato russo e di una delegazione di parlamentari di Mosca.
Infine, l’ultimo capitolo (per ora) della diplomazia nordcoreana riguarda la Siria. I rapporti tra i due Paesi sono molto buoni e il Presidente Assad ha dichiarato che incontrerà Kim durante una visita all’ambasciata di Pyongyang a Damasco, anche se non sono state fornite le date di questo incontro.
Una piccola nazione tra i giganti – Da un punto di vista strettamente strategico la partita di Kim sullo scacchiere internazionale è stata perfetta. Dopo aver portato l’amministrazione Trump verso una escalation nucleare impossibile da sostenere (anche e soprattutto per via della vicinanza della Corea del Nord con stati alleati dell’America come Corea del Sud e Giappone e con “rivali” come Cina e Russia, potenze nucleari anch’esse) ha riaperto i canali diplomatici con il sud. Così facendo ha posto Washington nella difficile situazione di decidere se rimuovere le sanzioni contro uno stato ostile oppure se mantenerle perdendo però l’appoggio di Seul e favorendo un avvicinamento di Pyongyang verso Pechino.
L’ostilità e la diffidenza del Giappone, alleato imprescindibile degli Stati Uniti nella regione, nei confronti del regime di Kim Jong-un complicano ulteriormente la situazione per la Casa Bianca che deve anche mediare tra Seul e Tokyo.
Il vertice di Singapore in questo senso sarà un esame per la tenuta di una politica estera particolarmente “da equilibrista” per Pyongyang, costretta a destreggiarsi tra le grandi potenze mondiali.