Forum sulla cooperazione cino-africana (FOCAC): prudenza economica e partenariato asimmetrico
Dal 4 al 6 settembre si è tenuto a Pechino il Forum per la cooperazione cino-africana. Intorno a Xi Jinping si sono riuniti 50 leader africani. Il Presidente cinese ha presentato la sua visione per la cooperazione tra la Cina e il continente Africano e fatto promesse di impegno finanziario al rialzo rispetto all’ultimo Summit del 2021.
In un contesto che vede rallentare la crescita cinese e una significativa diminuzione degli investimenti cinesi in Africa, cerchiamo di capire cosa ci si possa realmente aspettare da questo vertice.
La congiuntura economica dell’Africa subsahariana fa si che questa sia molto dipendente da quella della Cina, e questa affermazione pare essersi rafforzata negli ultimi 20 anni.
Secondo uno studio del 2023 del Fondo Monetario Internazionale (FMI), il calo di un punto del tasso di crescita della Cina comporterebbe una riduzione della crescita africana di circa 0,25.
Per i Paesi esportatori di petrolio come l’Angola o la Nigeria, la perdita sarebbe ancora più alta.
A livello commerciale, gli scambi sono caratterizzati dall’asimmetria. I beni esportati dalla Cina sono prodotti manifatturieri e beni strumentali, mentre quelli esportati dall’Africa rimangono essenzialmente minerali grezzi e prodotti agricoli.
Anche se la Cina è attualmente il partner commerciale principale dell’Africa, rappresentando un quinto dei suoi scambi totali (dati della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo – Cnuced), il continente Africano non rappresenta che il 4% degli scambi commerciali della Cina.
Inoltre, le bilance commerciali bilaterali del lato africano sono tutte deficitarie (tranne quella del Sudafrica) e questi deficit si approfondiscono anno dopo anno (a livello regionale è passato da 47 miliardi di dollari nel 2022 a 63 miliardi ne 2023).
Infine, quasi la metà degli scambi cino-africani sono concentrati su cinque Paesi, precisamente Sudafrica, Angola, Repubblica Democratica del Congo, Egitto e Ghana.
A livello finanziario, la parte della Cina tra i creditori non ha fatto che aumentare passando dal 2% nel 2005 al 17% nel 2021 (dati FMI). A livello bilaterale, la Cina detiene circa il 60% del debito dei Paesi africani e rappresenta quindi il primo investitore del continente.
Questo dato è però da stemperare perché Pechino è poco, se non per niente, coinvolto nei finanziamenti multilaterali che rappresentano una parte rilevante dei flussi finanziari verso l’Africa, soprattutto sovrani: la Cina non detiene che il 6% dei crediti su debito sovrano.
Nel decennio 2010 i finanziamenti cinesi verso l’Africa non hanno fatto che aumentare andando soprattutto di pari passo con l’ambizioso progetto di Xi Jinping noto come “nuove vie della seta”.
Hanno raggiunto l’apice nel 2016 con 30 miliardi di dollari, ma subito dopo c’è stato un calo repentino che ha raggiunto i 5 miliardi nel 2023. In questi ultimi anni i finanziatori cinesi si sono mostrati molto più prudenti per via del Covid-19, del rallentamento della crescita cinese e della difficoltà dei Paesi africani ad onorare i loro pagamenti dei debiti (il Kenia deve rimborsare più di 8 miliardi di dollari alla Cina).
Numerosi progetti sono stati giudicati da Pechino mal concepiti o non ottimizzati. Per esempio, alcuni progetti portuali sono stati sospesi come quello di Bagamoyo in Tanzania nel 2019 o quello di Conacry in Guinea, trasferito in seguito a una compagnia turca nel 2018.
La Cina ha così ridotto le sue attività di finanziamento in Africa rivedendo le sue ambizioni al ribasso, riorientando le sue attività verso l’energia o il digitale e privilegiando i finanziamenti di progetti meno ambiziosi.
Alla fine, la parte di investimenti stranieri diretti in Africa nel totale dei flussi finanziari rimane irrisoria, non permettendo un’evoluzione industriale che si possa dire essere degna di nota grazie al trasferimento di tecnologie.
I prestiti cinesi per costruire le infrastrutture sono innegabilmente vantaggiosi per le economie africane, ma ci sono pochissimi investimenti cinesi che possano realmente portare allo sviluppo regionale dei territori e delle competenze.
L’ultimo FOCAC ha riunito una cinquantina di leader africani. Questo vertice triennale è l’occasione, soprattutto per la Cina, di riaffermare il suo impegno in Africa e in generale nel Sud globale, attraverso promesse di investimenti e partenariati, così come l’apertura di linee di credito.
A prima vista, l’impegno di 50 Paesi africani in occasione del summit a fronte della sola Cina potrebbe porre il continente in posizione di favore per negoziare. Ma gli Stati africani hanno spesso interessi divergenti, se non concorrenziali. Non controllano l’Agenda del Summit stabilita da Pechino e non operano – a differenza della Cina – con un insieme coerente di obbiettivi strategici su lungo periodo.
La sovranità individuale viene preferita all’approccio comune, cosa che non permette di mettere le basi per una collaborazione bilaterale più equilibrata.
Cinquanta miliardi di dollari sono stati promessi da Pechino per i prossimi tre anni di cui 29 miliardi di prestiti, 11 di aiuti e 10 di investimenti. Ossia 10 miliardi in più rispetto al vertice del 2021 dimostrando la volontà della Cina di impegnarsi con il continente. Ammontare che può anche essere paragonato a quello degli Stati Uniti, che avevano promesso 55 miliardi di dollari nel 2022 e che fa pensare al tentativo di riallineamento della parte cinese nei confronti di Washington.
Tuttavia, se paragoniamo questi numeri con quelli del 2010, notiamo che sono tutti in ribasso e rivoti a progetti “piccoli ma carini” come li hanno definiti i funzionari cinesi.
Questi dati vanno letti con grande prudenza non essendo possibile il monitoraggio degli impegni presi e verificare così se le somme promesse siano state effettivamente impegnate ed erogate.
Gli annunci più di effetto si concentrano sempre in campo di infrastrutture e commercio.
Nuovi progetti di investimento riguardano, tra l’altro, l’energia solare (pannelli solari, batterie) privilegiando così la transizione ecologica e una maggiore autonomia del continente.
Ma anche qui questi progetti possono apparire poco equilibrati in termini di impatto economico, perché i pannelli o le batterie saranno costruite in Cina non permettendo nel breve periodo di ridurre il deficit commerciale del continente né di dare inizio ad un trasferimento di tecnologie e competenze.
Sebbene gli appelli ad una cooperazione rafforzata nello spirito “vincitore-vincitore” siano stati numerosi durante il FOCAC 2024, alcuni leader africani, come ad esempio il Presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, hanno chiesto un’evoluzione nella costruzione degli scambi reclamando investimenti più stabili e generatori di posti di lavoro sul continente.
Da parte dei Paesi africani, le richieste sono variegate e con obbiettivi strategici che spesso divergono. Per questo motivo viene interpellata l’Unione Africana, strumento strategico importante per il continente Africano, soprattutto in campo economico, che dovrebbe permettere di coordinare meglio le strategie di cooperazione tra gli Stati africani e consolidare le loro posizioni in seno agli equilibri mondiali. Purtroppo, i risultati dell’Istituzione in questo campo sono stati finora deludenti.
Solo alcune necessità delle economie africane appaiono convergenti. La sfida più grande risiede nel posizionamento dell’Africa all’interno delle catene di valore.
In seno agli scambi cino-africani, la trasformazione, i posti di lavoro e le tecnologie rimangono in Cina, anche se Xi Jinping ha promesso un milione di posti di lavoro per il continente, Pechino ha tutto l’interesse a mantenere lo status quo per non essere accusato di creare nuovi concorrenti.
Un’altra sfida riguarda l’azzeramento dei diritti doganali (lato cinese). Ad oggi però non si ha nessun risultato tangibile.
Infine, rimane cruciale la questione dell’indebitamento. Il pagamento del debito africano nei confronti della Cina deflagra in un contesto mondiale di tassi d’interesse elevati. Gli arretrati si accumulano e il rischio di inadempimento rimane alto.
Dal punto di vista cinese le sfide rimangono le stesse: l’Africa viene considerata come la fonte primaria per l’approvvigionamento di minerali, combustibili e prodotti agricoli, così come uno sbocco importante per i suoi prodotti finiti a basso costo.
Anche l’acquisto di terreni è uno degli obbiettivi di Pechino, anche se molti lo vedono più come un accaparramento.
Tuttavia, se la messa in sicurezza delle materie prime rimane una priorità per la Cina, il degradato contesto securitario presente sul continente lascia presagire interventi più significativi di Pechino in questo campo.
Su questo punto, la recente nascita della prima base militare cinese fuori dal territorio di Djibouti può sembrare il preludio di una nuova via, quella militare.
In questo contesto, la sola leva economica che possa giocare un ruolo rilevante a favore degli Africani per creare relazioni commerciali più equilibrate ed eque si trova nella forte richiesta di minerali, fondamentali per le nuove tecnologie nate per sostenere lo sviluppo delle energie rinnovabili.
Questo vale non solo nella cooperazione tra Africa e Cina, ma anche per le relazioni tra Africa e resto del mondo.