“Non sarà un pranzo di gala: crisi, catastrofe, rivoluzione”, il nuovo saggio dell’economista Emiliano Brancaccio

Lo scorso 12 novembre è uscito per l’editore Meltemi l’ultimo libro dell’economista Emiliano Brancaccio, professore associato di politica economica presso il dipartimento DEMM dell’Università degli studi del Sannio.

Prima di parlare del libro non si può non tracciare un breve ritratto biografico dell’economista, nato a Napoli nel 1971 e laureatosi proprio nella città partenopea nel 1998 presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università Federico II proseguendo poi la sua formazione anche presso la Soas dell’Università di Londra. Come si apprende dal suo curriculum vitae I principali interessi di ricerca riguardano la comparazione tra paradigmi alternativi di teoria e politica della crescita e della distribuzione e di teoria e politica monetaria, le politiche economiche europee, le politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro, le relazioni tra crisi, politiche economiche e centralizzazione dei capitali. Viene considerato come uno dei principali economisti eterodossi ed è stato definito da Il Sole 24 Ore un economista di impostazione marxista, ma aperto a innovazioni ispirate dai contributi di Keynes e Sraffa. Non possono poi non essere citate altre sue importanti pubblicazioni, come per esempio L’austerità è di destra, Il discorso del Potere e l’Anti-Blanchard oltre alla rubrica Eresie su Radio 1.
Quest’introduzione biografica fa capire quanto il personaggio si configuri a tutti gli effetti come una voce fuori dal coro in un dibattito economico caratterizzato da un certo conformismo accademico e giornalistico, a tal punto da far credere che esista un punto di vista tecnico univoco, dal quale non è possibile uscire senza venir accusati di complottismo o ignoranza. La competenza di Brancaccio è innegabile come la sua incisività nei dibattiti, durante i quali viene spesso accusato di essere una Cassandra, proprio come accadeva a John Maynard Keynes, o di essere troppo attaccato a visioni ideologiche marxiste, delle quali però Brancaccio stesso non si vergogna ma che anzi utilizza per fornire nuove interpretazioni del presente. Il marxismo di Brancaccio non sembra infatti un’adesione ceca a un’ideologia come meta da raggiungere, quanto un abito mentale in grado di porsi come guida per giungere a conclusioni imprevedibili e originali. In questo senso risultano emblematiche le parole di Giuliano Ferrara, secondo il quale Il professor Brancaccio è un po’ una mosca bianca tra noi, nel senso che è marxista. Parola ampiamente riabilitata. Anzi, direi che ci è a tutti professore visto come stanno andando le cose nel mondo.
Crisi, catastrofe, rivoluzione
Se il titolo è una citazione di Mao Tse Tung, il sottotitolo riprende invece le parole dell’ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale Olivier Blanchard, secondo il quale per evitare una futura catastrofe serve una rivoluzione keynesiana della politica economica. Partendo da questa suggestione il libro si configura come una raccolta di interviste, interventi e dibattiti dello stesso Brancaccio con politici ed economisti affermati, fra i quali è possibile fare l’esempio di personaggi di spicco come Romano Prodi e Mario Monti seguiti poi da un saggio finale dell’autore stesso.
Tale struttura permette quindi di costruire un filo nel pensiero dell’economista in modo da tale da permettere al lettore di provare ad entrare nella forma mentis dell’autore per capire la sua radicale proposta per il futuro oltre che per avere un’interpretazione del presente non convenzionale. Proprio nei suoi dibattiti si coglie da un lato la profonda distanza che intercorre fra lui e gli altri interlocutori, ma dall’altro il profondo rispetto e soprattutto la credibilità che gli viene unanimemente riconosciuta. Anzi proprio nel caso di Monti e di Prodi non si può non scorgere il loro apprezzamento nei confronti delle tesi di Brancaccio, secondo il quale però non è casuale che tale apprezzamento sia avvenuto soltanto dopo che entrambi hanno abbandonato le loro responsabilità politiche e governative. Alla luce di tutto questo emerge la tesi finale di Brancaccio, secondo il quale Keynes non basta, come non basta reclamare un reddito. Dinanzi a una crisi devastante abbiamo bisogno di un’eresia politica senza precedenti: diciamo pure una nuova logica di pianificazione collettiva, come propulsore della libera individualità sociale.
Costruire un’intelligenza collettiva rivoluzionaria
La diversità di Brancaccio non è soltanto nell’originalità eretica della tesi da lui proposta, ma si esprime anche nella concezione metodologica della politica economica da lui espressa. Spesso, infatti, gli economisti e il discorso si potrebbe estendere quasi per ogni categoria di accademici e giornalisti sembrano aderire in pieno alla concezione della fine della storia espressa da Fukuyama o al celebre slogan thatcheriano There Is No Alternative, rendendo così impossibile dal punto di vista tecnico una qualsiasi risposta alternativa. Tali concezioni risultano a parole estremamente realistiche e pratiche anche nel loro essere dichiaratamente antideologiche, ma si configurano spesso come dei veri e propri dogmi indiscutibili che rendono il presente e il futuro irreversibili. Riprendendo un pensiero del filosofo della scienza Imre Lakatos, Brancaccio sostiene invece come la storia della scienza in generale sia una storia di paradigmi fra loro in competizione e che proprio attraverso questa competizione, che si sviluppa in dibattito, avvengano gli avanzamenti decisivi per la scienza e la storia dell’umanità in generale. Maieutica socratica e dialettica hegeliana riprendono il sopravvento grazie a Brancaccio e l’economia torna ad essere una seria riflessione filosofica e non soltanto l’applicazione fredda di modelli economici. L’altezza di una riflessione del genere può quindi aiutare ad uscire da una situazione caratterizzata, come spiega perfettamente sempre Brancaccio dalla lotta tra capitali per la conquista dei mercati mondiali, che conduce alla centralizzazione del potere nelle mani di pochi vincitori e alla consequenziale reazione sovranista degli sconfitti. Una pura lotta di classe in senso marxiano, ma tutta interna alla classe capitalista, con il lavoro totalmente zittito. A meno di una svolta. Per questa svolta basterebbe affidare tutto il potere a Brancaccio o a un tecnico in generale? Purtroppo, no, perché citando le parole finali del libro Non Sarà un Pranzo di Gala: “L’orizzonte catastrofico è più vicino. Un’intelligenza collettiva rivoluzionaria è tutta da costruire.” Una strada lunghissima e difficilissima, ma senza la quale saremo soltanto dinosauri di fronte a meteoriti nell’affrontare questa crisi.