Rubens giocava a pallone

Parafrasando una frase dei Promessi Sposi potremmo domandarci “Rubens Fadini, chi era costui?” Ce lo racconta magistralmente Stefano Muroni, nel suo romanzo di esordio Rubens giocava a pallone. A metà tra realtà e fantasia, tra dialoghi ricostruiti ed inventati, tra campi di calcio inesistenti e quelli della massima serie si dipana la storia di un ragazzino che non voleva abbandonare il suo sogno. “Cosa vuoi fare da grande?” gli chiede la maestra il giorno dell’esame delle elementari, e lui, esitante ma incurante delle opinioni altrui, risponde “Da grande voglio essere un calciatore!
E il suo sogno, incubo ricorrente delle sue notti insonni, è premonitore del suo destino: un toro possente ed infuriato lo sfida a duello su un lungo viale deserto con un cielo minaccioso di tempesta. I loro sguardi si incrociano, come due duellanti che alla fine si vengono incontro fino al momento dell’inevitabile scontro. Come il tonfo, osceno e ingiusto, dell’aereo che riportava il Grande Torino a casa sul terrapieno della Basilica di Superga dove Rubens rimarrà, assieme a tutti gli altri, per sempre un calciatore.
E’ la Giustina che dà inizio alla storia. Lei la sua Nina, la sua dolce Ninetta sorella di latte, di giochi, di segreti, di confidenze e soprattutto, la sua compagna di vita. Memore delle antiche leggende che i contadini si tramandavano da secoli, Ninetta crede di poter rivedere il suo Rubens la notte del 2 novembre, quando i morti tornano tra i vivi. Per questo torna tutti gli anni dove prima esisteva Corte Cimabue, col suo vecchio materasso, tra le nebbie ed il freddo, attende il ritorno del suo promesso sposo, guardando il cielo nella speranza di rivederlo, di sentire ancora una volta il suo calore.
La povertà era di casa nel ferrarese, terra di bonifica, dove famiglie di tanti disperati provenienti da tutte le regioni accorrevano in cerca di lavoro, per scampare alla fame. Le Corti si susseguivano nelle campagne aperte al vento ed all’umidità delle grandi paludi ed erano miseri rifugi a cui tornare dopo dure giornate di fatica. E’ in una di queste fatiscenti abitazioni, Corte Cimabue, che arriva la famiglia Fadini. Un tempo ricca ed agiata ora si trova in povertà, costretta ad emigrare da Casaleone, oltre Po, provincia di Verona, verso quelle lande desolate assieme alla moglie, alla sorella ed ai suoi cinque figli. Il sesto Rubens nasce proprio lì, il primo giugno 1927, lo stesso giorno in cui la famiglia nella corte dirimpetto, denominata Donatello, accoglie la nascita della figlia Giustina che viene allattata anch’essa dalla mamma di Rubens.Fratelli di latte dunque i due. Amici di infanzia, innamorati di vita.
Rubens cresce mettendo in mostra un fisico sgraziato, con le sue gambe grosse e tozze che sembravano appartenere ad un’altra persona, fatte apposta per giocare col pallone. E lui lo scopre un giorno, quasi per caso, d’istinto, non conoscendo quel gioco, come se fosse un predestinato. Trova un pallone nel campo dietro al giardino della scuola ed inizia un gioco immaginario fatto di palleggi, scatti e piroette con un avversario fantasma. Il padre, credendo di averlo perduto lo sgrida e lo sculaccia. La prima trasgressione, le prime botte.

La passione lo travolge la prima volta che assiste ad una vera partita. Il campo, immaginario, è quello del Tresigallo. Le squadre Tresigallo Calcio contro Ostellato, aprile 1934. Rubens si innamora, capisce che il suo istinto lo può guidare verso il suo futuro. Apprende famelico le regole di quel gioco con la palla e parte tutte le domeniche col suo compagno di scuola Bruno ed il suo papà Agenore, capitano del Tresigallo tutti e tre in sella ad una biciletta. E’ la mamma che raccoglie per prima il suo ardore quando lo accoglie in casa, sudato e trasognante, “Mamma da grande voglio fare il calciatore”!
Tengono nascosto al burbero padre le sue visite ai Palazzi ed alle consuete partite di calcio. Un giorno i tre arrivano prima, Agenore doveva effettuare un riscaldamento aggiuntivo e Rubens si trova da solo. Lui, il campo, il pallone. Istintivamente, come se fosse catapultato in un mondo lontano, inizia nuovamente una danza fatta di scivolate, colpi di tacco smarcanti, tunnel contro immaginari avversari. Da lontano lo scrutava con attenzione il Presidente della Tresigallo Calcio, Corrado Fanti che gli chiede, incuriosito da tanto talento, il suo nome. Lo vuole portare nel mondo del calcio, vuole dargli un futuro nel mondo del calcio. Per Rubens parole più belle non potevano esistere. Lo scoglio più grande era il padre, non uso ai giochi ma solo al duro lavoro, non poteva concepire tali deviazioni. Rubens consiglia allora al Presidente di parlare con la madre che acconsente, la povera donna voleva spezzare la catena dei tristi obblighi che portavano da secoli le persone a vivere male e le madri a non credere ai desideri dei propri figli.
Quando il padre scopre la menzogna, in un impeto di follia, quasi uccide Rubens di botte e frustate e qui il sogno sembra spegnersi. Ma il ragazzo è duro e teso a non abbandonare il suo scopo e seppure con una guerra alle porte si impegna nello studio affinchè il padre possa considerare una deviazione ai suoi voleri. Lui insiste, si allena nell’aia con la Giustina, rafforza il suo fisico per essere sempre pronto ad una chiamata.
Con lo scoppio della guerra la famiglia emigra verso Milano. Si lascia il lavoro alla bonifica per accettarne uno in fabbrica. L’industria bellica aveva aumentato i ritmi e la produzione e cercava manodopera non specializzata, il Fadini, per evitare che il figlio prendesse definitivamente la via del calcio ed a sua insaputa, prende la via della Bovisa, periferia lontana di Milano. Rubens sente che il suo sogno sta per spezzarsi, anche la Ninetta è andata via, tornata in Sardegna con i suoi genitori convinti da una promessa di proprietà terriera. I due si promettono amore eterno e continuano a farlo da lontano, per lettera. La vita alla Bovisa è dura, quasi più di Corte Cimabue. Il vento, i viali spazzati, la luce della sera sono lontani ricordi e lo smog, i palazzi e le luci dei lampioni mettono tristezza.

Finchè Rubens scopre che la Cerretti & Tanfani, la fabbrica per cui i Fadini lavoravano ha una squadra di calcio, la Dopolavoro Cerretti & Tanfani appunto. Il ragazzo si mette in luce calciando pallottole di funi di materiale diverso nei diversi contenitori e viene inviato a colloquio con il direttore generale dell’azienda nonché presidente della Dopolavoro.
Lui lo sa, lo sente che è arrivato il suo momento, quello che aspettava da una vita. Anche il padre, mormorando e grugnendo capitola. Rubens è di nuovo un giocatore. Ora la strada è in salita, dopo due campionati vinti grazie e soprattutto a lui, passa alla Gallaratese fino alla serie B. All’improvviso il grande salto, il Grande Torino. Aveva visto una partita, la sua prima dentro un grande stadio, San Siro, per la prima volta con il suo compagno di squadra, Giuseppe il siciliano, ed il loro allenatore, il Magnozzi. L’emozione di quel giorno è descritta con parole magnifiche da Muroni. “Eppure, in quei dieci, quindici gradini che portavano all’interno dello stadio San Siro, lui percepì un’energia fortissima, primordiale, che gli prese anima e corpo, gli faceva girare la testa”. Si innamora di lui, del suo idolo, di Valentino Mazzola tanto che ad un certo punto non guarda la partita ma lui cercando di rubare ogni suo gesto, ogni sua giocata.
Dopo i bombardamenti di Milano il padre decide che è tempo di tornare in bonifica. Rubens sta per impazzire, così perderà il provino con la Gallaratese ma tant’è quel che decide il Fadini è legge. Ma il destino, beffardo, fa sì che una lettera di convocazione lo raggiunga in bonifica, diciotto anni, un uomo ormai anche agli occhi di suo padre che tanto lo aveva osteggiato. La vita si completa con l’arrivo di Giustina a Gallarate, i due fratelli di latte si ricongiungono, sembra la felicità. Con la Gallaratese il talento di Rubens esplode tanto che, nel 1948, su Tutto Sport esce un articolo dal titolo: “A Gallarate il Torino ha scoperto il nuovo Mazzola”. Il sogno si avvera. Ferruccio Novo, il Presidente dei granata, presenta i due nuovi arrivati allo spogliatoio. Uno è Rubens.
Il destino è in agguato, dopo un campionato che aveva mostrato l’eleganza ed il talento del ragazzo, la squadra parte per una amichevole con il Lisbona. E da quel viaggio non tornerà mai più. Imponente la ricerca sui luoghi, specie sulle zone dell’immensa bonifica ferrarese, la storia che va dagli anni 30 al dopoguerra, i personaggi secondari specchio di una società che non lasciava spazio ai sogni, le descrizioni emotive dei personaggi e la personificazione dei sentimenti. Una storia da conoscere, per capire dove può condurre la passione di un sogno