Igor Mitoraj, la Sicilia e il suo sguardo di pietra
“Lo sguardo di Igor Mitoraj: Humanitas e Physis” è la più grande esposizione all’aperto mai realizzata dedicata allo scultore polacco. Aperta fino al 31 ottobre 2025, si snoda in luoghi diversi, concentrandosi nel parco archeologico della Neapolis a Siracusa, travalicando la semplice esperienza archeologica.
A un certo punto della sua vita Igor Mitoraj deve essersi reso conto di non possedere muscoli abbastanza forti da poter trattenere tutto ciò che voleva vicino a sé: le forme che desiderava scolpire, gli anni che passavano, il metallo che si piegava sempre più docilmente sotto le sue dita e le storie di un paese non suo che man mano diventavano sempre più tartassanti.
Igor Mitoraj si è cibato di queste storie, composte di eroi classici, mostri e dei fissi nella roccia come solo un essere non votato alla carne possa fare. Inizia così “Lo sguardo di Igor Mitoraj: Humanitas e Physis”, mostra all’aperto composta di trenta opere monumentali lascito dell’artista siciliano che ha fatto dell’Italia la sua casa d’adozione fino alla sua morte nel 2014.
Nato in Germania nel 1944 ma cresciuto in Polonia, Mitoraj trova ben presto la propria dimensione artistica in Italia, dedicandosi alla lavorazione del marmo e ispirandosi al mondo classico ellenistico.
Nel 1983, trasferitosi a Pietrasanta, decide di aprirvi uno studio, continuando la sua ricerca di un possibile ponte fra mondi diversi, ampliando e costruendo statue che cercano di tracciare i ruoli dell’uomo nella società civile odierna.
Qui entra in scena la Sicilia che, con le sue strade infinite e quel cielo che sembra perennemente sul punto di sprofondare tra gli speroni di roccia, diventa lo sfondo perfetto per ospitare i monumentali giganti umani di Mitoraj che tornano ad occupare un luogo che gli è sempre spettato di diritto.
È una mostra che si disloca in luoghi diversi della regione, impegnandosi a disegnare un filo quasi istintuale tra busti e volti di metallo brunito, come vestigia di storie rispolverate dal passato.
Il gusto è quello del cantore liturgico greco: con pochi cenni e simboli fa emergere storie complesse in cui però l’osservatore non ha difficoltà nel ritrovarcisi.
Gran parte del patrimonio di Mitoraj è stato trasportato al parco archeologico della Neapolis a Siracusa, luogo fermo nel tempo dove la pietra sembra parlare, non solo grazie alla presenza del teatro greco.
Fin dall’ingresso, dove si viene accolti da una nascita di Afrodite dal cranio scoperto e da cui sembra trasbordare il cielo antistante, si assiste a uno scambio di battute costante fra l’ambiente e le statue che sembrano quasi respirare e trovare giovamento le une dalle altre, come se comunicassero così da sempre. I movimenti che lo scultore infonde alle statue sono di un chirurgo disperato che in ogni incisione cerca di aprire nuove ferite, più profonde, nel tentativo di trovare una risposta. Forse è proprio questo il vero aiuto di un posto simile: una camera d’eco così ampia da poter permettere a queste figure, Dedalo, Osiride o Afrodite, di essere illuminate di nuovo in nome di una ricerca che non è mai cambiata.
Mitoraj, forse poco aiutato dalle fin troppo didascaliche descrizioni fornite in loco, chiede invece allo spettatore di ampliare la propria esperienza, di diventare quasi archeologo del suo mondo personale, d’incontrare personaggi inquietanti che finalmente sono stati spogliati da un’aura epica che, ad oggi, deve poter riscoprire un modo diverso d’esistere.
Nel metallo, l’artista rivede la morbidezza della carne umana e non la foggia delle armature di eserciti divini; gli stessi dei presenti (degno di nota è l’Osiride addormentato) sono plagiati da una gravitas sospesa che in qualche modo rassicura l’osservatore e gli permette di avvicinarsi senza paura.
La loro stazza però rimane mastodontica; Mitoraj è consapevole (l’utilizzo del presente non vuole tradire la consapevolezza della sua morte nel 2014) del rispetto dovuto a personaggi che anche nella loro tragedia, si veda il Dedalo che protegge l’ingresso dell’Orecchio di Dioniso, sono sopravvissuti al test del tempo che passa.
Sono storie e figure che hanno sofferto ma per lo scultore questo non basta.
Sono busti, sono occhi, sono mani che emergono dall’acqua e si confondono con il muschio e la polvere, in perenne contatto con le meraviglie di una vita senza senso compiuto ma che continua a stupire. In un enorme anfiteatro di pietra, lo spettatore si trova catapultato alla messa di santi il cui corpo non è mai esistito ma che rimangono comunque più sacri di quei tiranni che invece lo sono stati.
Nell’anonimato di uomini e donne che hanno plasmato il terreno e che ancora lo percorrono silenziosamente, una mostra simile risulta quasi un prolungamento naturale, riproponendo una semplicità materiale composta solo da fuoco, aria, acqua e terra. Le diverse geometrie sono così metafisicamente diverse da risultare quasi compatibili, generando una discendenza forte e differenziata.
Uscendo dalla Neapolis con il sole che si squaglia dietro il muro di roccia, Mitoraj sussurra un segreto affidato alla sua ultima creatura alata: tutto ciò che è stato amato prima o poi sarà nuovamente tirato fuori, dipinto, costruito ed esplorato. È passato tanto tempo ma né a loro né a noi importa.