Il MoMa protesta contro il decreto di Trump attraverso l’arte
Il recente decreto anti musulmani di Donald Trump ha generato numerose proteste, tra cui quella del museo d’arte moderna di New York, il MoMa che risponde con l’esposizione delle opere di artisti che provengono dai sette paesi colpiti dal bando.
È recente il decreto emanato – e al momento “congelato” da un giudice di Seattle – del neo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che impedisce l’ingresso a sette paesi musulmani: Siria, Libia, Iran, Iraq, Somalia, Sudan e Yemen. Inoltre, la misura varata da Trump, prevede il blocco, per 120 giorni, del provvedimento emanato da Barack Obama che invece permetteva l’ingresso dei rifugiati negli Stati Uniti. In aggiunta a quanto stabilito dal nuovo presidente, questa misura di blocco per i rifugiati siriani è oltre questi 120 giorni.
Le proteste contro il decreto “anti-musulmano” non sono state poche, e tra queste c’è quella del più importante museo di arte moderna d’America, il MoMa – a solo due isolati dalla Trump Tower – che risponde con l’esposizione delle opere di artisti che provengono proprio da quei paesi che sono stati colpiti dal bando. Una protesta che si presenta in modo elegante, senza fare troppo rumore, ma al contempo è forte in quanto proviene da una grande istituzione culturale come il MoMa, contro la volontà del presidente degli Stati Uniti.
La collezione, che rappresenta questo moto di protesta, è stata esposta al quinto piano e ogni opera ha al proprio fianco la seguente didascalia: “Questo lavoro è stato realizzato da un artista di una nazione ai cui cittadini è stato negato accesso negli Stati Uniti. La sua esposizione vuole affermare gli ideali di accoglienza e libertà, alla base della cultura di questo museo e degli Stati Uniti”.
Si comprende quindi quale sia l’intento dell’iniziativa del MoMa: affermare l’ideale di accoglienza e di libertà che caratterizza la cultura del museo stesso, nonché degli Stati Uniti, e che dovrebbe caratterizzare tutto e tutti gli esseri umani. Il MoMa non vuole dimenticare il fatto che gli Stati Uniti nascono proprio come un popolo che ama la libertà, propria e altrui, e il bando emanato da Trump non fa altro che andare nel senso opposto.
Si può ammirare, ad esempio, un’opera dell’iraniano Charles Hossein Zenderoudi, in cui si confondono geroglifici e corpi, oppure ci si può perdere in un dipinto di Zaha Hadid, l’artista scomparsa lo scorso anno, che rappresenta un panorama di Hong Kong. Nella sala d’ingresso è stata invece collocata una scultura dell’artista di origine iraniana Siah Armajani.
Parlare attraverso l’arte
L’arte è un mezzo molto potente che, se usato con intelligenza, può ottenere grandi risultati, primo fra tutti uno spunto per aprire alla riflessione. L’essere umano alla riflessione preferisce sempre l’azione, ma questa, senza essere guidata dalla riflessione, ci fa perdere quella caratteristica tipicamente umana, grazie alla quale ci è possibile parlare attraverso l’arte, come fa il MoMa, che la utilizza proprio come mezzo per protestare contro il decreto di Trump che impedisce l’accesso ai cittadini di sette paesi musulmani negli Stati Uniti.
Il Museum of Modern Art di New York non è la prima volta che si mostra sensibile e attento riguardo la questione che caratterizza il nostro tempo, basti pensare alla mostra che ha recentemente ospitato del designer e architetto Sean Anderson, dal titolo Insecurities: tracing displacement and shelter, al fine di sensibilizzare su una realtà che colpisce il mondo intero, quella della guerra e delle condizioni dei profughi.
L’arte è libera, non fa differenze di razza e il colore lo conosce solo come quella qualità che conferisce alla realtà creata un aspetto diverso, un aspetto che supera il grigiore di vite sempre troppo spente e sempre troppo avviluppate in se stesse per rendersi conto della profondità del resto.
L’arte è la possibilità concreta di farci scoprire profondamente simili in questo nostro essere esteriormente tanto differenti, perché in fondo ciò che fa l’arte è far parlare il cuore e nel cuore l’uguaglianza è sovrana più che mai.
L’esposizione delle opere di artisti che provengono dai paesi a cui è negato l’accesso, mostra, in modo immediato e accessibile a tutti, come siamo uguali e come, per gli errori – e orrori – di qualcuno, non può rimetterci un popolo intero.
È una protesta, quella del MoMa, che ha l’intento di parlare attraverso l’arte, di non tacere di fronte a un decreto che limita, distruggendo, l’ideale di uguaglianza con cui sono nati gli Stati Uniti. È un modo per abbattere i silenzi che troppo spesso avvolgono questioni che non ci riguardano direttamente, ma ci riguardano in qualità di esseri umani.