“Madre Coraggio” fa arrestare e condannare a Milano gli stupratori della figlia

La figlia, 38 anni, era stata violentata da tre ragazzi, che approfittando dei disagi dovuti a problemi di tossicodipendenza, dopo averla convinta a seguirli in una casa diroccata situata lungo Ripa di Porta Ticinese, avevano a turno abusato di lei.
Quando la madre, Mariangela P., venne a sapere dell’accaduto convinse la figlia a sporgere denuncia alla Polizia, che raccolsero le dichiarazioni della donna, che fu in grado di descrivere perfettamente i suoi stupratori, ricordando anche bene il luogo della violenza.
Gli uomini che raccolsero la denuncia le misero di fronte le foto segnaletiche, dalle quale però “Marta” non riconobbe nessuno.
Però pare che nessun altro atto d’indagine sia stato compiuto d’iniziativa per identificare i tre “mostri”.
La donna all’epoca, si era chiesta come mai non gli venisse proposto dagli inquirenti di andare sul posto e aveva anche provato a protestare, ma vuoi per le leggi garantiste, che per la poca iniziativa investigativa, che semplicemente per mancanza di personale la risposta fu “non possiamo”.
Questo un anno fa. Ora si è celebrato il processo e grazie al “coraggio” della madre i “bruti” erano a rispondere al giudice delle loro squallide azioni, per le quali sono stati condannati.
La madre, dichiara al giudice dell’udienza, che qualcuno della Polizia all’epoca della denuncia aveva suggerito che “una buona mossa era quella di andare sul posto, senza esporsi, e poi chiamare la Polizia se si riconoscere i responsabili”.
Certo consiglio azzardato, considera oggi il pm Cristian Barilli nella sua requisitoria, ma che la madre seguì alla lettera, anzi usò uno stratagemma per far scattare la trappola: finse di aver perso un cane e insisteva a chiamarlo per far venire allo scoperto i tre; i violentatori uscirono per capire cosa stesse succedendo e “Marta”, che era rimasta appostata poco distante li riconobbe. Poi venne chiamata la polizia che identificò i tre dando un nome agli autori dello stupro e comunicando tutto al Tribunale perchè la giustizia facesse il suo corso
Oggi il giudice fa i complimenti a questa madre, per il suo “atto ideativo, semplice, banale, che è stato molto più efficace dell’inerzia con cui le forze dell’ordine hanno trattato la denuncia della vittima“, così scrive nella motivazione della sentenza riferendosi all’atteggiamento della polizia. La madre, invece, grazie alla sua “sete di giustizia”, alla sua tenacia non si è fermata, non si è arresa, ma ha affrontato da sola, senza paura, gli aguzzini della figlia.
Forse la vita gli aveva insegnato a lottare e chissà quante esperienze, quanti dolori aveva provato per questa figlia, che probabilmente già da adolescente aveva manifestato problemi di tossicodipendenza, con tutti i disagi sociali, famigliari e psicologici che questo comporta. Una donna, sicuramente temprata dalla vita, che sfida il pericolo, cerca gli aggressori, scovandoli nella tana in cui stavano nascosti, e riesce a farli arrestare”.
Il Giudice Bruno Giordano, della nona sezione del tribunale, grazie a questo “coraggio” ha potuto condannare a 10 e 6 anni di reclusione due ragazzi del branco, mentre il terzo è ancora in attesa di processo.
Questa madre è un chiaro esempio di quello che dovrebbe essere lo spirito civile, la voglia di giustizia, di coraggio e di resistenza contro ogni violenza, anche quando le istituzioni preposte per inezia o incapacità dovuta a mille problematiche, che qui è difficile poter valutare senza rischiare di essere superficiali.
Questo ci insegna che le stesse istituzioni possono funzionare meglio se al loro impegno uniamo il nostro, se non perdiamo la fiducia e se non ci lasciamo andare nella rassegnazione di subire pensando che tanto non possiamo cambiare le cose.
Sebastiano Di Mauro
6 agosto 2013