The Suicide Squad – Missione Suicida è il film di James Gunn

Chi vi scrive ha già avuto modo di parlarvi del DCEU, e di come questa dicitura abbia ormai sempre meno senso data la sua mancanza di armonia, organizzazione e organicità. Questo, unito alle dichiarazioni del regista James Gunn, entusiasta della libertà creativa concessagli dalla Warner Bros., ha reso sempre più evidente come questo film andasse preso non tanto come un film dell’universo DC, quanto come un’opera dell’autore James Gunn, con tutte le caratteristiche distintive che ne conseguono, tanto che nei giorni precedenti all’anteprima stampa di The Suicide Squad – Missione Suicida chi vi scrive si è premurato di recuperare l’intera filmografia di James Gunn (non che ci sia voluto molto). E ora, a film finito, il sottoscritto può vantarsi di aver avuto la giusta intuizione. Se volete sapere perché, procediamo con l’analisi senza spoiler del nuovo capitolo delle gesta del team più folle di casa DC.
100% Gunn
Partiamo col dire che The Suicide Squad – Missione Suicida non è semplicemente un film di James Gunn. The Suicide Squad è la sintesi di tutte le caratteristiche tipiche del cinema di Gunn elevate a livello esponenziale, la summa di tutta la sua poetica, e solo conoscendo tale poetica sarà possibile apprezzare a pieno questo film, poiché in esso troverete il surreale black humour di Tromeo and Juliet (co-diretto con quel Lloyd Kaufman noto al pubblico per aver fondato la Troma), gli orrori visivi e la violenza estrema della commedia splatter Slither, l’autoironia sul genere supereroistico del metacritico Super – Attento Crimine!!!, e il cameratismo tra personaggi assurdi e tragicomici dei due film sui Guardiani della Galassia (il cui terzo capitolo è attualmente in lavorazione), ma soprattutto l’elemento fondamentale, il comune denominatore di tutte le opere di questo folle regista: l’emotività, un’emotività tanto forte quanto nascosta, pronta ad emergere in maniera dirompente quando meno se lo si aspetta, e che inserita in un contesto fatto di turpiloquio, creature disgustose, e riferimenti sessuali belli espliciti, finisce per avere un impatto ancora più forte.

Fonte: denofgeek
Sebbene il vero e proprio cuore del film sia dato dal personaggio di Ratcatcher 2/ Cleo Cazo (Daniela Melchior), ogni personaggio, e dico proprio ognuno di loro, da Bloodsport/ Robert DuBois (Idris Elba) all’immancabile primadonna Harley Quinn/ Harleen Quinzel (Margot Robbie) sarà in grado di darvi almeno una botta emotiva con il procedere degli eventi, ed è ironico dato che il fattore dell’emotività era stato uno dei punti più deboli del Suicide Squad del 2016: laddove infatti quel film puntava sul presentare i suoi protagonisti come mostri di crudeltà e ferocia, per poi rivelare quanto il loro livello di crudeltà e ferocia fosse più o meno quello di un agnellino a Pasqua, questo film è coerente nel raccontare personaggi talvolta teneri e ingenui pur con tutta la loro mente malata e la loro violenza senza freni. Altro punto nel quale questo film stravince su quello di cinque anni fa, è l’efficace operazione di worldbuilding: se il vecchio Suicide Squad non riusciva a giustificare in maniera efficace il fatto che un uomo sparasse fiamme dalle mani, Gunn è abile nel costruire un mondo in cui le cose più folli ed assurde risultano quasi naturali.
Grazie all’abile commistione tra costumi volutamente poco credibili e ambientazioni ricostruite con minuzioso realismo, e all’intelligente scelta di non concentrarsi troppo sul background di questi antieroi, di rivelarne abbastanza elementi da dare un senso alla storia, ma non troppo da rubarle minutaggio prezioso, Gunn riesce non solo a confezionare un film in cui una stella marina gigante, uno squalo parlante o un uomo che spara pois non suscitano la minima perplessità, ma anche a dare un ottimo ritmo agli eventi. Dimenticate l’incipit del primo Suicide Squad (questa sarà l’ultima volta che chi vi scrive li accosterà, poiché si tratta di film così diversi da rendere insensato qualunque confronto), nei quali si perdevano venti minuti a raccontare vita, morte e miracoli di due membri e giusto qualcosina su tutti gli altri: il film di Gunn tiene un ritmo frenetico e costante dal primo all’ultimo fotogramma, a partire dalla sequenza iniziale, una scena destinata a rimanere bene impressa nella mente degli spettatori tra una violenza degna dell’inizio di Salvate il Soldato Ryan e un umorismo nero che non sfigurerebbe in una puntata di South Park.

Fonte: tomshw
Uno Stand troppo Alone
Insomma, come ormai avrete intuito, The Suicide Squad è un ottimo prodotto, e il consiglio di chi vi scrive è di precipitarvi il prima possibile in sala se volete lasciarvi travolgere dal divertimento che inevitabilmente deriva dall’assistere a più di due ore di ultra violenza, scurrilità, scene d’azione mozzafiato, supercriminali di serie Z con ridicoli costumi morire nelle maniere più esilaranti e fantasiosi virtuosismi registici (che si tratti di didascalie realizzate con elementi scenografici o un intero combattimento mostrato sul riflesso di un elmetto), ma non aspettatevi che questo film possa rappresentare una svolta per il travagliato DCEU, con il quale non presenta il minimo legame (fatta eccezione per un breve accenno a Superman). Perfino la visione del Suicide Squad di David Ayer non è necessaria per comprendere e apprezzare questo film, film per il quale Gunn ha ricevuto carta bianca completa e totale, cosa che può essere positiva o negativa: positiva perché ha permesso ad un ottimo creativo di esprimere al meglio il suo genio folle, ma negativa, poiché denota il disinteresse di una major nel dare forma, coerenza e direzione precisa a un suo franchise. Il DCEU ha fatto un grosso passo avanti proponendo un ottimo film singolo, ma è ancora purtroppo distante dall’avere un senso.