La luce che arde col doppio di splendore brucia per metà tempo: Wyndham Lewis e il vorticismo.
Percy Wyndham Lewis nasce in Canada il 18 novembre del 1882 ma non come un canadese qualunque. Si narra sia nato in mare, al largo della Nuova Scozia da padre americano e madre inglese.
Definirlo un artista americano è un errore, per tanti versi; Lewis effettivamente nasce in America, vivrà in Inghilterra ma si formerà artisticamente in Europa e, nel senso buono del termine, possiamo definirlo un “senza patria”. E se i limiti territoriali vanno stretti all’artista, la stessa cosa vale per le etichette culturali dell’epoca.
Cubista?
Sicuramente la corrente parigina ha influito su Lewis ma non a tal punto da convincerlo a 360 gradi perché per alcuni versi la trovava “morta”.
Futurista?
«Voi guappi insistete troppo sulla macchina. Noi in Inghilterra ce l’abbiamo da secoli».
La risposta di Lewis a Marinetti la dice lunga. Al dandy, inglese d’adozione, della macchina importa relativamente. La svolta avanguardistica non è lì ma è nel movimento.
Serve una soluzione, a Lewis non va bene nulla; ogni “contenitore” artistico è troppo piccolo per lui, per il suo individualismo quindi c’è solo una via da percorrere: fondarne uno tutto suo. E fu così che….rullo di tamburi….nel 1914 nasce il Vorticismo (il termine in realtà fu coniato da un altro personaggio interessante di quegli anni, un certo Ezra Pound).
Il vorticismo fu una corrente artistica critica, aggressiva, arrogante nei confronti della modernità del tempo con lo scopo principale di voler unire il cubismo al futurismo marinettiano.
«Sono un artista. Sono un romanziere, un pittore, uno scultore, un filosofo, un disegnatore, un critico, un uomo politico, un giornalista, un saggista, un pamphlettista, il tutto in uno, come quegli uomini-valigia del Rinascimento italiano».
Alla luce dell’umilissima descrizione di sé stesso, non può stupire il fatto che, sempre nel 1914, Lewis fonda la rivista vorticista BLAST.
Il tempo di fare un’esposizione ed il movimento vorticista si scioglie ma Lewis sa bene come occupare il tempo arruolandosi come volontario con trasferimento sul fronte occidentale.
Levarsi la sete di vita da una sorgente di morte; la guerra fu per Lewis fonte d’ispirazione, le sue memorie dal fronte infatti sono raccolte in Blasting and Bombardiering, volume edito nel 1937.
Lewis è un fiume in piena e non c’è modo alcuno di arginarlo. Quindi, chiusa la parentesi della prima guerra mondiale, avvia un’altra rivista individualista (Enemy), da solo, stavolta non c’è nemmeno Pound, non c’è un movimento da presentare ed è lui stesso ad affermarlo nell’editoriale del 1927.
«Che sia chiaro: non c’è alcun movimento qui (grazie al cielo!), ma soltanto una misera persona; un solitario fuorilegge e non un gruppo. Mi sono mosso fuori da tutto. Fuori sono più libero»
La pura (pre)potenza artistica di Lewis creò attorno all’artista un gruppo di amicizie di notevole calibro come il già citato Pound, Joyce, T. E. Lawrence ed il poeta Eliot e chiaramente notevoli battibecchi di altrettanto peso, uno su tutti quello con Hemingway. Per rendere meglio l’idea possiamo tranquillamente riprendere qualche scambio di idee direttamente dai protagonisti.
«È stato uno dei pochi uomini di lettere della mia generazione che definirei uomini di genio. Ne è stato il più stilista di prosa, forse l’unico ad aver inventato un nuovo stile.» (T.S. Eliot)
«Un uomo della sua intelligenza è ineluttabilmente destinato a scontrarsi, a opporsi e a battersi. Non puoi essere così intelligente, in quel modo, senza essere preda delle furie.» (E. Pound)
«Wyndham Lewis, nel migliore dei casi un uomo bilioso e intrattabile.» (L. Woolf)
Per tornare invece ad Hemingway, Lewis pensò bene di soffiargli l’amata e di dare un leggerissimo giudizio sulla sua prosa, definendola “il ritmo anonimo del proletario”. Il buon Hernest allora risponde a tono e senza troppi giri di parole:
«Aveva una faccia che mi ricordava il muso di una rana. Sotto il cappello nero gli occhi erano quelli di uno stupratore a cui è andata buca.»
Politicamente parlando, un personaggio come Lewis non poteva essere sopra le righe; nel 1931, bruciando sul tempo gran parte del panorama intellettuale europeo, pubblica un sobrissimo pamphlet dal nome Hitler.
La sopraccitata opera porterà gli occhi della critica postuma ad accostarlo ad un pensiero non suo e servirà a ben poco la sua opera, di stampo ampiamente antinazista, del 1939 The Hitler Cult.
Stenio Solinas – autore della biografia di Lewis nell’opera Genio Ribelle, edito per Neri Pozza – inquadra il pensiero politico dell’artista con una semplice e sincera disamina:
«L’unico partito di cui avrebbe dovuto far parte, era il partito dei Geni, ma soltanto perché nella sua immaginazione sarebbe stato lui a guidarlo».
Lewis, durante il secondo conflitto mondiale, tornerà in Canada passando dall’esser visto come nemico di un scena europea culturale a lui stretta ed avversa ad un brusco e repentino rallentamento (quasi annullamento) di confronto, a causa di uno scialbo deserto artistico oltreoceano.
Il genio ribelle tornerà nella terra d’Albione nel 1945, dopo sei anni diverrà cieco, orfano della vista per poi spegnersi nel 1957 senza essersi mai convertito al cattolicesimo.