Bagheria dice basta al pizzo
Sono ben 36 gli imprenditori e i commercanti che hanno deciso di fare fronte comune e ribellarsi al racket della malavita organizzata dell’area di Bagheria. Dopo anni di vessazioni subite, il gruppo di imprenditori ha compiuto un atto di coraggio denunciando i loro estortori, consentendo in tal modo alle forze dell’ordine di intervenire ed eseguire 22 provvedimenti cautelari, alcuni di questi notificati a persone già in regime di detenzione. Le accuse mosse dagli inquirenti sono di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, sequestro di persona e danneggiamento a seguito di incendio. L’operazione, conclusa con un blitz alle prime luci dell’alba e gestita dal nucleo investigativo di Palermo e supervisionata dalla Dda, ha permesso di ricostruire attraverso intercettazioni audiovisive le attività di raccolta e redistribuzione del pizzo alle famiglie e le modalità usate per punire chi si rifiutava di pagare.
A scoperchiare il vaso di Pandora sono state le dichiarazioni del pentito Sergio Flamia, fino a qualche anno fa mafioso di rango a Bagheria, cui sono seguite altre indicazioni fornite da 3 dei 36 imprenditori che spontaneamente hanno deciso di denunciare tutto alle forze dell’ordine.
Soddisfazione da parte di Salvatore Altavilla, comandante del reparto operativo, che ha sottolineato l’importanza della decisione assunta dagli imprenditori: “Il momento centrale dell’operazione è la scelta di 36 imprenditori che decidono di collaborare per non sottostare più all’imposizione del pizzo”. Sulla vicenda si è espresso anche il Primo ministro Renzi: “Grazie al coraggio di chi rifiuta ricatti, grazie a Carabinieri e inquirenti. Bagheria non è cosa loro”.
I 22 provvedimenti cautelari e le 36 persone che si sono ribellate testimoniano quanto la malavita organizzata sia ancora estesa e radicata sul territorio ma rivelano anche la presenza della volontà di dire basta a questo tipo di sfruttamento, una volontà presente da tempo sul territorio grazie ad organizzazioni come ‘Libero Futuro’ e ‘Addiopizzo’ ma che ancora fatica ad emergere, come testimoniato dal caso delle ‘vacche sacre’ che circolano liberamente per le strade del reggino.