La Notte (fonda) dei Musei. Storia di S.Paolo martire e dei talebani del cemento
ROMA- Si è svolta sabato 16 maggio nei principali musei di tutta Italia, dalle 20 alle 24 con il pagamento simbolico di un solo euro, la “Notte dei Musei”, l’iniziativa, già tenutasi anche in passato, promossa dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e dal Consiglio d’Europa, e definita “un’occasione unica per godere il patrimonio artistico al di fuori dei consueti orari di visita e apprezzare la bellezza degli innumerevoli capolavori esposti nelle collezioni dei nostri musei”.
Un’iniziativa che ha fatto registrare nei musei romani tra le 10000 e le 20000 presenze, così come “tweettato” dall’assessore alla Cultura e Turismo di Roma Giovanna Marinelli, che ha definito positivo il bilancio dell’iniziativa dichiarando che “La cultura e la Bellezza a quanto pare vincono sempre».
Non proprio sempre, verrebbe da dire, se si considera ciò che accade a Roma, nel cuore del Parco dell’Ardeatina, e che da anni cittadini e parte dell’amministrazione denunciano, del quale è stato messo al corrente persino il Ministro Dario Franceschini in occasione proprio della “Notte bianca dei Fori Imperiali” lo scorso 22 aprile.
– Il Caso.
“Roma è un parco archeologico a cielo aperto”, è questo l’assioma confermato da secoli di studi, ricerche e scoperte, una certezza assoluta, alla stregua del teorema di Pitagora o delle leggi di Keplero, si sa: a Roma, ovunque tu voglia scavare, ritroverai una qualsivoglia traccia di secoli e secoli di storia. Lo stesso romantico entusiasmo che ha portato nel 1871 Heinrich Schliemann alla scoperta delle mura di Troia e del tesoro di Agamennone, che l’occidente si è poi ritrovato a dover difendere dalla ferocia dei Talebani. Così come è accaduto per la valle dei Buddah di Bamiyan nel 2001 e per il museo di Mosul lo scorso Marzo. Cosa accade quando la stupidità dell’homo sapiens sapiens del terzo millennio (dopo Cristo) mette a repentaglio la memoria? E siamo davvero così al riparo, noi cives romanis, dal pericolo che l’integralismo rappresenta per il patrimonio archeologico, artistico, culturale? Che siano solo i simboli delle religioni pre-islamiche dissipati in medio oriente a rischio distruzione?
La risposta, ahinoi, è celata a ridosso della direttrice di via Laurentina, lungo quella che un tempo era la Tenuta delle Tre Fontane e che, già dai tempi di Mussolini prima, e della realizzazione dell’Eur negli anni ’50 poi, sino al piano di urbanizzazione previsto dal Piano Regolatore del 1962, il cosiddetto I-60, si trova a dover lottare contro la minaccia delle betoniere, in nome della storia.
La vicenda riguarda l’area di alveo del fosso delle Tre Fontane, al momento oggetto di un ricorso al Tar, di una diffida al Ministero dei Beni Culturali, del sequestro di un cantiere edilizio e al centro di una controversa e tristemente “italiana” vicenda edilizio-burocratica, che merita un approfondimento (per il quale si rimanda all’onere delle recentissime cronache riguardo l’urbanizzazione di via di Grotta Perfetta) non solo da un punto di vista amministrativo, nell’assurdo susseguirsi di concessioni edilizie in barba ai vincoli di tutela, ma innanzi tutto nel legame culturale, filologico, tra i luoghi, la memoria e la nostra identità cristiana.
– La Storia.
Accadeva che, nel VI secolo d.c., l’attuale Complesso delle Tre Fontane (tuttora esistente ed affidato ai Frati Trappisti dopo il restauro del 1865 e del quale fanno parte l’Abbazia delle Tre Fontane, la chiesa di S.Maria Scala Coeli e la Chiesa del Martirio di S.Paolo) come attestato da una pubblicazione del 1891 di Mariano Armellini “Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX” , diveniva luogo di culto e testimonianza, secondo la tradizione cristiana tramandata dai vangeli apocrifi ma riconosciuta dal culto che ne susseguì nei secoli successivi, ed è attestato dallo stesso Armellini, del martirio e della decapitazione di S.Paolo (l’apostolo che insieme a Pietro fonda la Chiesa di Roma, dunque simbolo del Cristianesimo). Descrive infatti che “Lungo l’ antico diverticolo dell’ Ostiense, nel luogo detto alle Acque Salvie, v’ è questa famosa chiesa, la più celebre delle tre di quel gruppo dedicato alla memoria del martirio di s. Paolo. Essa racchiude tre fonti di acque sgorganti a tre livelli diversi e che si dicono zampillate miracolosamente nei tre balzi che dette il capo dell’ Apostolo reciso dal busto”.
– La denuncia dei cittadini.
Si fa riferimento dunque al martirio di S.Paolo ed alle miracolose sorgenti venute fuori dal rotolare tre volte del suo capo sul terreno, secondo il rimando cristiano dell’acqua simbolo di purezza, nascita e resurrezione. La storia attesta che il martirio dell’apostolo e la sua decapitazione avvenne presso le “Acque Salvie”, corso d’acqua che ancora oggi percorre il fosso e del quale può udirsi lo scorrere proprio all’interno della stessa Chiesa del Martirio, laddove a protezione e consacrazione del miracolo di S.Paolo sono stati eretti tre altari. Una suggestione unica, la natura e la religione che si manifestano in uno dei massimi simboli della nostra tradizione Cristiana (S.Paolo) e che oggi sono messi a repentaglio dalle ruspe del Consorzio di Grotta Perfetta in quanto, come riportato nel ricorso presentato al Tar contro la Regione Lazio che con la delibera 215 dell’agosto 2014 ha giudicato lo stesso corso d’acqua “irrilevante ai fini paesaggistici” svincolando l’intera area del “Fosso delle Tre Fontane” da tutte le tutele imposte dal Codice dei Beni Culturali in materia di Tutela del Paesaggio e del Patrimonio Artistico e Culturale. Tale ricorso, presentato su richiesta dei comitati cittadini che presumibilmente dai lavori di urbanizzazione trarrebbero giovamento in termini di infrastrutture e servizi ma che coscientemente si sono opposti allo sciacallaggio edilizio, evidenzia come “le indagini archeologiche nell’area oggetto del programma di Trasformazione urbanistica, avviati nel mese di febbraio 2008 ed ancora in corso nel 2010, hanno portato alla luce due tracciati stradali lastricati con basoli, resi di una necropoli risalente al I e II sec d.c., una villa suburbana, un condotto idrico con diverse ramificazioni, parallelo al fosso delle Tre Fontane. Tali ritrovamenti sono stati ricoperti e resteranno obliterati dalle nuove opere”.
Interessante scoprire come al basolato in oggetto è riconosciuto un inestimabile valore storico già dallo stesso Armellini, che innanzi tutto riporta come l’intera area sia riconducibile a “l’ oratorio di s. Paolo e che ivi furono fabbricate tre cappellette l’ una più bella dell’ altra con tre fontane onde tutta la chiesa è stata nominata delle tre fontane.” E che “Allorquando fu distrutto il pavimento, si trovò a poca profondità l’ antico pavimento di opera cosmatesca, fatto a livelli diversi per declivi coperti di grandi lastre di marmo bianco, i quali declivi erano in relazione evidene colle tre fonti. Dallo stesso scavo venne a luce altro frammento, in cui si legge il nome dell’ apostolo Paolo” , ma che soprattutto attesta l’indiscutibile importanza archeologica del ritrovamento, ovvero “ Non lungi dal luogo medesimo, che già troviamo fatiscente nel secolo VII, si è trovato un tratto di via romana lastricata a poligoni di lava basaltina, che scende in linea retta alle tre fonti. Quelle pietre sono veramente preziose, perchè certamente calcate dall’ Apostolo quando s’ avviava a ricevere la corona iustitiae”.
Ancora più interessante scoprire come già nel 1891 è riconosciuto il culto e la sacralità di quei luoghi: “Della pietà dei pellegrini d’ ogni nazione verso quel santuario un altro indizio è stato scoperto nei lavori ivi fatti dai padri Trappisti. Questi s’ imbatterono in un piccolo gruppo di monete d’ argento: monete che appartengono alle elemosine elargite dai fedeli ai santuarî romani”.
– La legge.
Qualora dunque non bastasse l’attestata violazione dell’art. 143 del Codice dei Beni Culturali che prevede delle linee di sviluppo “tali da non diminuire il pregio paesaggistico del territorio con particolare attenzione alla salvaguardia dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO e delle aree agricole” oltre a “il recupero e la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati, al fine di reintegrare i valori preesistenti” (in questo caso il fosso inteso come patrimonio naturale – sito di interesse naturalistico – nonché sito di rilevanza archeologica considerati i sovra citati ritrovamenti) potremmo richiamarci ad un altro articolo dello stesso, nella fattispecie il 7bis che richiama, in materia di valorizzazione del patrimonio culturale, alle “espressioni di identità’ culturale collettiva contemplate dalle Convenzioni UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale” (la tradizione ed il culto del martirio di S.Paolo) “e per la protezione e la promozione delle diversità culturali, qualora siano rappresentate da testimonianze materiali” (il fosso delle Tre Fontante e lo scorrere delle acque nella cappella del Martirio, testimonianza del Martirio di S.Paolo e patrimonio indiscusso della nostra identità culturale).
– La convenzione UNESCO
Approvata il 17 ottobre 2003 dalla Conferenza Generale ed entrata in vigore in Italia il 28 settembre 2007 con Legge n. 167, la “Convenzione UNESCO per la Salvaguardia del patrimonio culturale immateriale”, “Tra i suoi principali obiettivi intende salvaguardare gli elementi e le espressioni del Patrimonio Culturale Immateriale, promuovere (a livello locale, nazionale e internazionale) la consapevolezza del loro valore in quanto componenti vitali delle culture tradizionali, assicurare che tale valore sia reciprocamente apprezzato dalle diverse comunità, gruppi e individui interessati e incoraggiare le relative attività di cooperazione e sostegno su scala internazionale”.
Per meglio comprendere cosa si intenda per Patrimonio Immateriale, è poi specificato che la tutela riguarda “le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale”.
E tra gli ambiti del patrimonio immateriale ritroviamo anche le “tradizioni ed espressioni orali (compreso il linguaggio in quanto veicolo del patrimonio culturale immateriale)” e le “consuetudini sociali, eventi rituali e festivi”
Scendendo più nello specifico, tale convenzione prevede, in merito alla “Sezione 3: Salvaguardia del patrimonio culturale immateriale a livello nazionale” che ciascuno stato contraente “adotterà i provvedimenti necessari a garantire la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale presente sul suo territorio” e che tale patrimonio culturale dovrà essere definito “con la partecipazione di comunità, gruppi e organizzazioni non governative rilevanti” (i comitati dei cittadini, ad esempio?).
Ancora, si fa riferimento alla compilazione di “uno o più inventari del patrimonio culturale immateriale presente sul suo territorio” e gli stessi “saranno regolarmente aggiornati”.
– Il quesito
Ora, considerato che secondo questa convenzione ciascuno stato debba “adottare una politica generale volta a promuovere la funzione del patrimonio culturale immateriale nella società e a integrare la salvaguardia di questo patrimonio nei programmi di pianificazione” nonché “promuovere gli studi scientifici, tecnici e artistici in vista di una salvaguardia efficace del patrimonio culturale immateriale in pericolo” quale pianificazione è stata fatta in merito per la tutela e la salvaguardia del patrimonio che rappresenta il Complesso delle Tre Fontane?
E se l’articolo 14 di suddetta convenzione, ad esempio, riguarda “l’Educazione, sensibilizzazione e potenziamento delle capacità” e prevede che “ciascuno Stato farà ogni sforzo, con tutti i mezzi appropriati” per garantirne il riconoscimento, il rispetto e la valorizzazione, quant’anche “informare costantemente il pubblico sui pericoli che minacciano tale patrimonio culturale” e “promuovere l’educazione relativa alla protezione degli spazi naturali e ai luoghi della memoria, la cui esistenza è necessaria ai fini dell’espressione del patrimonio culturale immateriale”, e che “ciascuno Stato contraente farà ogni sforzo per garantire la più ampia partecipazione di comunità, gruppi e individui che creano, mantengono e trasmettono tale patrimonio culturale, al fine di coinvolgerli attivamente nella sua gestione” non è forse ipotizzabile appellarsi a tale Convenzione, al fine di valutare l’importanza di quanto è emerso nell’annosa vicenda dell’I-60?
Siamo dunque sicuri di volerci arrendere a questi signori della burocrazia, che non curanti del valore storico, artistico, culturale e religioso che il fosso delle Tre Fontane rappresenta, alla stregua dell’Isis cancellano la storia a colpi di martelli pneumatici e betoniere?
Che sia giunta l’ora di chiedere l’intervento delle forze internazionali (Unesco) onde salvare il patrimonio delle Tre Fontane, il culto di S.Paolo, da questa barbarie chiamata “concessioni edilizie”?
Elda Fauci
18 maggio 2015