Jacqueline Rastrelli intervista Emanuele Aliprandi, esperto del Nagorno Karabakh – Parte 1
La guerra dimenticata del Nagorno Karabakh: una pace giusta, una guerra inevitabile?
Artsakh è l’originario nome armeno della regione del Nagorno Karabakh: una traduzione, comunemente accettata, è “giardino nero di montagna”. Una terra che esiste ma non è riconosciuta, eppure, è da sempre una terra con i suoi abitanti, la sua storia millenaria, una storia che ha inizio molto prima che i paesi vicini, falsari della storia e creatori di identità fasulle, potessero avere un posto nella geografia del Caucaso.
Abbiamo incontrato Emanuele Aliprandi, autore del libro “Le ragioni del Karabakh” che, suo malgrado, è diventato uno specialista di quella parte di mondo sconosciuto. Dopo un viaggio turistico, come se ne fanno tanti, forse attratto dalla bellezza, non solo dalla storia, di quelle terre, si imbatte in alcune verità che gli appaiono subito tali, ma che hanno il difetto di non essere conosciute o di essere comunicate in modo distorto. Quella “terra di montagna” diventa un percorso, anche personale, per capire e comunicare la “storia di una piccola terra e di un grande popolo”. Il libro di Aliprandi ha il merito rappresentare e riempire di senso e significato le ultime vicende storiche, che per negligenza, o per paura di sbagliare, sono state fin troppo lontane sia dalla cronaca di allora, dai resoconti diplomatici e dalla condivisione che si deve ad un popolo che cerca la strada del suo risorgimento. Aliprandi ha anche scritto il libro “1915, cronaca di un genocidio.
L’intervista è lunga, le risposte dettagliate e precise espresse da chi è riuscito ad intessere rapporti anche personali con un popolo che non ha bisogno di identità artefatte per raccontare se stesso: è un popolo che sa da dove viene e che affonda le sue radici in un comune sentire e una comune consapevolezza identitaria e per questo, forse, è un popolo che crea sgomento, invidia, rabbia in chi non ha storia e non ha identità. L’intervista è un tentativo di fare chiarezza, una necessità storica per dare rappresentazione corretta ad una cronaca molto poco conosciuta nel nostro Paese. Gli eventi, così come ci sono stati raccontati, sono espressi con il dichiarato intento di fare chiarezza in una storia intricata e complicata da mille difficoltà. Non si è ancora arrivati ad una soluzione che metta un punto definitivo al contenzioso, ma rimettere sotto ai riflettori il Nagorno Karabakh, “lo Stato che esiste ma non esiste”, e che chiede solo un riconoscimento di “primo livello”, per noi è già un passo importante.
Dott. Aliprandi, quali sono state le radici conflitto? Il Nagorno è una terra armena, azera, o tutte e due?
Quando si chiede in giro, anche a presunti “addetti ai lavori”, cosa sia il Karabakh, la gente casca dalle nuvole rispondendo un tappeto? Un cavallo? Nulla di tutto questo. È un piccolo Stato di pochi chilometri quadrati posto in mezzo alle montagne del Caucaso. La conoscenza è sempre un elemento di chiarezza, ed in questo caso – e in casi storici come questo – è un percorso necessario per informare e cercare di capire quali siano i problemi, quindi anche risolverli. Radici del conflitto dunque, terra azera? Armena? Che la questione del Karabakh sia complicata si capisce già dal nome. Vi sono infatti molti modi di chiamare questo fazzoletto di terra, che ha conosciuto nella sua travagliata storia influenze politiche e linguistiche delle quali è rimasta traccia indelebile. Artsakh è l’originario nome della regione. Secondo una leggenda popolare deriverebbe da “Ar” (Aram) e “Tsakh” (giardino), anche se l’opinione diffusa è che richiami il nome del Re Artaxias II (II secolo a.C.). Tuttavia gli Armeni stessi usano abitualmente il termine di derivazione turca e persiana Karabakh, che letteralmente significa “giardino nero”. Facendo un escursus storico si capisce che è sempre stata terra Armena. Fin dalla sua prima civilizzazione, in epoca precristiana, fu abitata da popolazioni di stirpe armena. Lo testimoniano ritrovamenti e iscrizioni riconducibili a tale cultura antica. Lo stesso nome di Artsakh viene fatto risalire ad Aran discendente di quel Haik considerato il fondatore ed eponimo della gente armena (Armenia in lingua originale è chiamata Hayastan, ossia terra di Haik). Il monaco Mesrop Mashtots crea l’alfabeto armeno e fonda proprio nell’Artsakh, ad Amaras, la prima scuola di lingua. Gli antichi monasteri e chiese che ancora oggi si possono ammirare in Armenia, e nello stesso Karabakh, testimoniano la resistenza culturale di fronte al conquistatore di turno. E’ passata dai Meliccati dei principi Armeni ai Khanati persiani, come quello di Ganja e del Karabakh, per poi essere inglobato attraverso il Trattato di Kurekchay nell’impero russo (1805). Anche dopo l’abolizione del Khanato nel 1822, tutta la popolazione armena del Karabakh continua a vivere nel proprio territorio il cui capoluogo è Shushi. Il fatto che l’Azerbaijan non esistesse è provato dal fatto che nel 1917 la Società delle Nazioni rifiuta la sua adesione perché non c’è “une definizione certa per dire che quella terra si chiami così”: la regione Azerbaijan era semmai una provincia, facente parte dell’Iran. A cavallo tra il secondo e terzo decennio del Novecento gli eventi che si succederanno costituiranno la premessa di quella che, qualche decennio dopo, sarà considerata come una guerra di liberazione. Nel 1918, quando comincia la sovietizzazione della regione, gli armeni erano il 96% della popolazione totale del Nagorno Karabakh. I Congressi del popolo del Karabakh ripetutamente chiedono di essere aggregati al Soviet dell’Armenia, terra a loro vicina per cultura, (religione, ma certo non potevano dirlo) e provenienza etnica. Il Nagorno Karabakj è una zona di montagna. L’ Azerbaijan di oggi, che allora non esisteva, per contro si trova in una piana alluvionale che si incunea nel “giardino nero di montagna” facente parte dell’altopiano armeno. Etnicamente quella parte di terra è da sempre popolata da Armeni. Negli anni ‘20 la percentuale della popolazione armena è superiore al 90%. Per fare un raffronto con una storia a noi meglio conosciuta, negli stessi anni, nel Kossovo, gli albanesi costituivano il 60-65% della popolazione. Tornando alla domanda Terra armena o azera non si può che rispondere terra Armena.
Domanda: Come tanti conflitti, attuali e irrisolti, avrà tante conseguenze negative. Questo conflitto, lungo e logorante, come e perché ostacola gravemente lo sviluppo economico e demografico dell’intera regione
Dicevamo che i Congressi del popolo del Nagorno Karabakh, negli anni ’20, cercano di aggregarsi a quelli armeni. Le ripetute richieste sfociano in atti di forza e crisi etniche. Nel frattempo l’Armenia diventa Repubblica Socialista Sovietica e il Comitato centrale azero invia le sue congratulazioni agli Armeni (30 Novembre 1920). Si pensa che la questione Kharabakh sia finita. Il 2 dicembre del 1920 infatti, al Comitato Rivoluzionario viene letto al Consiglio di Baku il seguente messaggio: “i territori di Zangesur e Nakhichevan sono parti inseparabili dell’Armenia Sovietica, mentre ai compagni lavoratori del Nagorno Karabakh è dato pieno diritto di autodeterminazione” . Lo stesso giorno viene firmato un Trattato tra Armenia e Impero Ottomano dalle cui ceneri sta nascendo la Turchia di Ataturk. Viene annullato il Trattato di Sèvres e gli Armeni sono costretti a ritirarsi dall’Anatolia per non essere sopraffatti dai turchi. Devono anche riconoscere l’indipendenza del Nakhichevan, che dal mese di luglio, si era dotato di un governo di stampo sovietico. E’ importante far rimarcare che la dichiarazione del 2 dicembre del Comitato Rivoluzionario dell’Azerbaijan nella sua “Dichiarazione sullo stabilimento del potere sovietico in Armenia”, riconosce il diritto all’autodeterminazione al solo Nagorno Karabakh e non alle altre provincie, ma equivale comunque ad un riconoscimento dello status del Karabakh ed al suo diritto ad unirsi all’Armenia. Diritto all’autodeterminazione e diritto di unirsi all’Armenia, proclamato inseparabile dalla Repubblica Socialista Sovietica di Armenia. Tutto risolto? No. Il Cavbureao, l’ufficio politico del Partito Comunista che si occupava del Caucaso, dopo aver creato una Commissione per verificare le volontà della regione e le varie pertinenze, Syunik e Nakhichevan comprese, ritorna sulla decisione. Viene chiesto un Referendum di conferma anche se per pura formalità visto che il 90% della popolazione era armena e che dieci Congressi del popolo avevano detto che volevano unirsi all’Armenia. Narimov (Comandante del Comitato Rivoluzionario Azero), essendo certo che tutto è a favore dell’Armenia, con un’abile mossa politica rimette la decisione in mano al Comitato Centrale del Partito Comunista Russo. L’ufficio del Caucaso però, invece di accogliere tale richiesta e demandare la decisione a Mosca, si riunisce e, sotto la pressione di Stalin, ribalta la precedente determinazione stabilendo di “lasciare il Nagorno Karabakh entro i confini della Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbaijian e dare allo stesso ampia autonomia regionale con centro amministrativo nella città di Shushi”. Perché questo voltafaccia di Stalin? Forse per le sue origini georgiane? In realtà Stalin voleva “curare” i rapporti con la Turchia di Ataturk: voleva “portarvi il socialismo” e così gli “regala” la sua politica di spartizione del Caucaso. Anche il Nakhichevan (60% di Armeni) viene lasciato all’Azerbaijian, mentre con un sussulto di coscienza (e sottili strategie politiche) destina all’Armenia la sua parte più meridionale, il Syunik. I sogni di autodeterminazione del Karabakh vengono affondati da opportunismi internazionali che, così come accaduto per le provincie armene dell’Anatolia, subordinano i diritti dei popoli alle convenienze diplomatiche. Già dopo il Genocidio armeno del 1915 la comunità internazionale si era comportata in modo vergognoso. Accordi, trattati e conferenze, da Sèvres a Losanna, si risolsero in un nulla di fatto. Ora le regione è spezzetta senza nessuna unità di popolazione. Gli Armeni del Nakhichevan e Karabakh si trovano sotto potere azero. Il futuro della regione è compromesso come la Storia ci insegnerà. Come era prevedibile il Nakhichevan si dearmenizza in pochi anni. Il Karabakh, che non è contiguo all’Armenia, viene circondato e isolato in un disegno politico chiaro: stringerlo in una morsa azera. Anche l’importante regione di Lachin va in mano azera. Monumenti e testimonianze della cultura armena vengono distrutti e il 94% della popolazione si sente prigioniera a casa sua. Ma resiste arroccato tra le montagne. L’isolamento geografico impedisce forse agli Armeni del Karabakh di fuggire, ma saranno queste stesse questioni geografiche che gli permetteranno di rimanere armeno.
Nel 1923 nasce l’Oblast del Nagorno Karabakh, regione autonoma con suo Soviet che rimane all’interno della più importante Repubblica Sovietica dell’Azerbaigian. La popolazione armena rimane in maggioranza anche se gli azeri riescono ad abbassare questa percentuale (da 96 a 70%) popolando la zona con turchi mescketi (fatti arrivare dalla Georgia): gli Azeri diventano la maggioranza a Khojaly e Shushi, perché nel 1920 gli azeri radono al suolo il quartiere armeno. Molti vengono uccisi, molti se ne vanno. Diventa un unico caposaldo azero in tutta la regione. Lo stesso accadrà poi ad Askeran. Nonostante questi sforzi di ripopolamento e epurazione, la presenza azera della regione rimane 1/4 della popolazione totale. Questa Repubblica autonoma sottoposta all’Azerbaigian va avanti così per decenni di vita dell’URSS. Ma la depressione economica si fa sentire perché gli azeri non investono in una regione piena di Armeni.
Possiamo definirlo conflitto congelato o bomba a orologeria?
Appena il collante sovietico cede, le rivendicazioni tornano a galla, così come le violenze. I pogrom anti Armeni si moltiplicano, un esempio è quello di Sumgait del 1988 dove si aprì una vera caccia all’uomo, contro gli Armeni; poi arriveranno Kirovabad, Baku. Sono 400mila gli Armeni che vivono ancora in Azerbaigian, 80mila Azeri in Armenia. Il collante del Partito non ha più forza di mantenere il controllo. Nel 1987 una petizione sottoscritta dagli Armeni del NK raccoglie 100mila firme per la secessione dal Soviet azero e l’unione a quello armeno, considerando che la popolazione era di 180mila abitanti, togliendo i bambini e i 50mila azeri… tutti firmano. Rinascita della questione nazionale armena del Karabakh, quindi, che non chiede l’indipendenza, ma solo e semplicemente il passaggio da un soviet all’altro. Riscontro di questo risveglio si ha anche in Armenia e Azerbaigian. Erevan e Baku non tengono più la piazza. Fine del principio di fratellanza sovietica, leadership del PC sconfessata a Baku e a Erevan: il Comitato per la riannessione del Karabakh (KRUNK), ufficialmente sciolto e considerato illegale è più vivo che mai. Riesce a riunire anche 100mila persone, in poche ore. Gli Azeri tornano a casa. Gli Armeni scappano. Siamo ad un punto di non ritorno. La strage di Sumgait segna la fine URSS e il punto di non ritorno, è anche la certificazione non può esserci accordo. Nel 1988 l’Armenia viene colpita da un terribile terremoto: 30mila morti. Le Repubbliche sovietiche arrivano in soccorso, arriva anche la protezione civile italiana, prima volta in uno stato estero, battesimo del fuoco con URSS… Si racconta che anche gli azeri abbiano mandato aiuti… mandando un treno di aiuti carico di cadaveri di Armeni…. Vero o falso che sia rende l’idea di quello che poteva essere il clima…..
Jacqueline Rastrelli
13 marzo 2015