RU-486: polemiche e dubbi sulla decisione della Regione Toscana

Desta polemiche la decisione della regione Toscana, presieduta da Enrico Rossi (Pd), di distribuire la pillola abortiva RU-486 anche fuori dagli ospedali, presso poliambulatori e consultori adeguatamente attrezzati. Questo farmaco, autorizzato in Italia già dal 2009, è un’alternativa all’aborto chirurgico ma il suo utilizzo è ancora piuttosto controverso. Come mai?
Storia della RU-486. Il farmaco nasce in Francia negli anni ’80 e viene esportato in alcuni paesi europei negli anni ’90 (Gran Bretagna, Svezia, Spagna, Portogallo, Norvegia, Olanda, Germania, Austria, Danimarca, Finlandia, Svizzera e Belgio). Nel 2000 viene adottato dagli Stati Uniti e approvato nel 2003 dall’ OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). Nel 2007 anche l’EMEA, l’ente europeo per il controllo dei farmaci, ne ammette l’uso, ribadendone la sicurezza. Ad oggi la RU-486 è usata in tutti i paesi membri dell’UE tranne Polonia, Lituania, Irlanda e Malta.
In Italia la sperimentazione vera e propria inizia nel 2002 in Piemonte ma il progetto viene bloccato dall’allora ministro della Salute Sirchia. Nel 2005 le sperimentazioni riprendono, anche se in contrasto con il ministro della Salute Storace, e si diffondono anche in Liguria, Toscana, Emilia-Romagna, Lombardia. Nel 2007, dopo l’approvazione europea, arriva all’Italia la documentazione per la procedura di mutuo riconoscimento del farmaco, ma viene bloccata dal ministro della Salute
Turco. Nel 2009 l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) approva la RU-486 e nel dicembre dello stesso anno la pillola abortiva entra a far parte ufficialmente dei farmaci utilizzabili in Italia, con l’obbligo però del ricovero ospedaliero.
Come funziona. Il protocollo, da compiersi entro i 49 giorni di gestazione, prevede la somministrazione di due pillole: la prima, a base di mifepistrone, interviene direttamente sul progesterone che è l’ormone che protegge l’andamento della gravidanza, bloccandone la funzione. Due giorni dopo si somministra la seconda pillola, contenente la prostaglandina, che espelle i residui embrionali dall’utero comportandosi come un normale ciclo mestruale, con perdite di sangue e, eventualmente, crampi. Dopo 15 giorni dall’assunzione, è opportuno effettuare una visita di controllo. La percentuale di successo della terapia è stimata intorno al 95% , in caso di insuccesso si procede chirurgicamente. Tra gli effetti collaterali più comuni sono stati registrati nausea (40-60% dei casi) e vomito (20 %).
Differenze. Non va confusa né con la pillola contraccettiva né con la pillola del giorno dopo. Queste infatti servono a evitare la fecondazione e l’annidamento dell’embrione nell’utero, la RU-486 invece si occupa di espellerlo.
Al contrario poi dell’altro metodo abortivo, quello chirurgico, l’assunzione della pillola non prevede il passaggio in sala operatoria eliminando così tutti i postumi e i rischi dell’anestesia e di un intervento invasivo. Inoltre l’intervento, di regola, non viene effettuato prima della settima settimana di gravidanza mentre la pillola può essere assunta fin da subito.
Chi è contrario. Le associazioni pro-life, tra cui Scienza & Vita, lamentano il rischio di deregulation e abbandono della paziente. Tra le accuse inoltre c’è spesso quella di “banalizzazione dell’aborto” e “aborto facile” , vista la relativa semplicità del metodo. Dura anche la posizione della Chiesa che già nel 2009, tramite le parole di monsignor Sgreccia presidente della Pontificia Academia pro-vita, parlava di scomunica sia per le donne che la utilizzavano sia per i medici che la prescrivevano. Eugenia Roccella (Ncd) parla di “aborto fai-da-te” e cita i 29 casi di mortalità dopo l’uso della pillola registrati in vari paesi dall’inizio del suo utilizzo. La Roccella, che ha presentato un’interpellanza al ministro della Salute Lorenzin, si schiera inoltre a favore del ricovero ospedaliero durante il trattamento a causa della non prevedibilità del momento dell’espulsione del feto. L’Udc sottolinea la necessità di prendere iniziative “ a favore della vita che, secondo noi, va difesa dal suo concepimento fino alla morte naturale”, Fratelli d’Italia parla di “triste primato” della Toscana .
Tra i contrari alla diffusione della RU-486 è quasi unanime l’appello alla legge 194 che prevede l’interruzione volontaria della gravidanza nelle strutture ospedaliere.
Chi è favorevole. Molte donne lo ritengono un metodo “più naturale”, poiché simile a un aborto spontaneo. I medici che si dichiarano d’accordo parlano, oltre che di minori rischi, di maggior responsabilizzazione della donna poiché il tutto avviene quando la donna è cosciente (e non in anestesia) e per sua mano (invece di quella del chirurgo).
Politicamente esprimono il proprio plauso Sel, che auspica che le altre regioni seguano l’esempio della Toscana, e il Pd tramite le parole delle consigliere regionali Lastri e Matergi: “In questo modo si consente di ricorrere all’interruzione di gravidanza garantendo la salute delle donne e si contrasta con più forza il pericoloso fenomeno degli aborti clandestini” aggiungendo poi che i consultori sono “strutture controllate e sicure”.
Anche tra i favorevoli c’è chi cita la legge 194, in particolare l’articolo 15 in cui prescrive “l’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione della gravidanza”.
Bisogna notare inoltre come per eseguire un aborto chirurgico ci sia bisogno, sia per firmare l’autorizzazione sia per effettuare materialmente l’intervento, di medici non-obiettori. Un’istanza apparentemente scontata ma che in realtà getta luce su una complessa situazione del territorio nazionale dove l’applicazione della legge 194 non è affatto garantita: 7 ginecologi su 10 sono obiettori, percentuale che arriva anche all’80% nelle regioni del Sud (non contando poi gli anestesisti-obiettori e il personale non medico-obiettore.). Questo provoca un allungamento elefantiaco delle liste d’attesa che spesso fa sforare alla donna i tempi previsti per l’interruzione della gravidanza; inoltre, dovendo gli ospedali pagare “a chiamata” medici esterni che eseguano l’intervento, il costo per il Servizio Sanitario Nazionale –già in crisi- si moltiplica. In questo caso i sostenitori della RU-486 fanno notare come la pillola comporti un minor peso sul SSN, soprattutto nel caso in cui venga distribuita, come nel caso della Toscana, in strutture sanitarie non ospedaliere senza l’obbligo dei tre giorni di day-hospital.
Eliana Rizzi
8 marzo 2014