Draghi si dimette, Mattarella scioglie le Camere. Gli italiani alle urne il 25 settembre

Finisce il governo Draghi, che resta in carica per il disbrigo degli affari correnti, dopo una crisi innescata dal M5S di Giuseppe Conte, poi cavalcata dalla Lega e a cui ha deciso di accodarsi Forza Italia.
Anche la stampa estera stava seguendo da giorni con incredulità le mosse di quella politica che, in modo anche inconscio, stava affossando l’esperienza di un presidente del Consiglio, considerato una personalità di riferimento internazionale per prestigio e autorevolezza. E chiamato a guidare l’Italia in un momento di crisi senza precedenti – interna e geopolitica – a capo di un esecutivo di larghe intese.
Mario Draghi nella giornata di ieri ha reiterato le proprie dimissioni dinanzi al Capo dello Stato e successivamente Mattarella ha sciolto le Camere dopo aver incontrato i rispettivi presidenti, come previsto dall’art. 88 della Costituzione.
Si voterà il prossimo 25 settembre. La prima seduta delle nuove Camere è fissata il 13 ottobre, giorno in cui avrà inizio la XIX legislatura.
Come si è giunti alla caduta del governo
A seguito del non voto di fiducia del M5S sul DL Aiuti, il Presidente del Consiglio aveva presentato le sue dimissioni, poi respinte da Mattarella che lo ha invitato a presentarsi alle Camere per verificare se esisteva ancora quella maggioranza parlamentare che ha dato origine al suo governo.
Draghi ha quindi reso il 19 luglio delle comunicazioni al Senato. E con un discorso chiaro e perentorio, ha precisato quale sarebbe stata la linea del suo esecutivo, qualora i partiti della maggioranza avessero deciso di ricostruire quel patto di fiducia per proseguire l’esperienza di governo. Non ha mancato di spiegare le motivazioni che lo hanno spinto alle dimissioni, sottolineando il grave significato politico della scelta del M5S di non votare la fiducia al governo di cui faceva parte, con ministri e sottosegretari in carica.
Nel suo discorso è entrato nel vivo di quanto stava ostacolando il lavoro dell’esecutivo a causa delle contraddizioni di quei partiti di maggioranza che, non di rado, assumevano posizioni in palese contrasto a quanto deciso in Consiglio dei ministri: dalle azioni di politica estera contro l’invio delle armi all’Ucraina, al sostegno delle proteste dei tassisti e dei balneari contro la riforma della concorrenza, fino all’adesione a manifestazioni per impedire la costruzione di impianti energetici, come il rigassificatore di Piombino.
Parole che hanno chiamato in causa non solo il M5S ma anche il centro-destra di governo, a partire dalla Lega.
Terminate le comunicazioni di Draghi, è subito apparsa alta la tensione nell’aula ed è bastato poco per capire che oltre al M5S, potevano non essere più della partita sia la Lega che Forza Italia.
Probabilmente i senatori si aspettavano un discorso meno duro e con toni di compromesso, che potesse favorire una loro conferma della fiducia. Di contro si sono trovati dinanzi ad un premier che ha posto delle condizioni per non dare spazio ad un appoggio di facciata, che avrebbe lasciato la strada aperta a continue fibrillazioni di intralcio all’azione di governo.
L’aut-aut di Draghi ha messo alla prova quegli schieramenti più in difficoltà, scatenando nervosismo e conflitti interni, sulla linea da seguire.
E dopo una giornata di caos e mediazioni tentate da più parti, l’esecutivo ottiene la fiducia con soli 95 voti a favore e 38 contro. Con Lega e FI che escono fuori dall’aula del Senato e il M5S che, pur presente, si astiene.
Il premier aveva chiesto «un nuovo patto di fiducia, sincero e concreto» alla medesima maggioranza che aveva permesso la nascita del governo di unità nazionale.
La risposta é andata inesorabilmente contro quella richiesta. E si ha la sensazione che un tale esito fosse inaspettato anche dai suoi autori, che spinti da ripicche ed interessi di parte alla fine sono stati travolti dal corso delle loro stesse azioni.
Non a caso, adesso quegli stessi partiti che gli hanno negato la fiducia se ne guardano bene dall’intestarsi la caduta del governo di Mario Draghi.