Obbligo vaccinale: ecco perché i ricorsi degli operatori sanitari sono stati respinti

Il contesto emergenziale in cui ci troviamo da più di un anno e mezzo ha indotto il legislatore ad adottare delle misure che comprimono alcuni diritti individuali, per favorire interessi decisamente preminenti che tutelano l’intera collettività.
È il caso del provvedimento legislativo (d. l. n.44 dell’01.04.2021) che obbliga i medici e l’ampia platea degli operatori nei servizi sanitari a sottoporsi a vaccinazione per la prevenzione del Covid, con l’obiettivo di garantire condizioni di sicurezza nello svolgimento delle prestazioni di interesse sanitario.
Parliamo di un ambito dove ci si aspetterebbe una maggiore propensione a capire l’importanza dei vaccini per tutelare se stessi e assicurare la protezione nelle cure soprattutto dei più fragili per età o stato di salute e impedire – per quanto possibile – la diffusione di un virus che ha causato 128.751 morti in Italia e più di 4 milioni a livello mondiale.
Sospensione degli operatori no-vax
Eppure anche tra gli esercenti professioni sanitarie non sono mancati coloro che si sono voluti sottrarre alla vaccinazione, senza alcun valido motivo legato, ad esempio, a problemi di salute che avrebbero giustificato l’esonero o il differimento dell’inoculazione.
Nei confronti di queste persone sono quindi intervenuti provvedimenti di sospensione dal lavoro senza retribuzione da parte delle Asl competenti, nei casi in cui non è stato possibile adibirli a mansioni che non implicassero contatti interpersonali o comunque il rischio di contagi.
Contro queste decisioni medici e operatori sanitari hanno presentato dei ricorsi giudiziari, per chiedere l’annullamento del provvedimento di sospensione dal lavoro emesso nei loro confronti.
Ricorsi che, ad oggi, sono stati respinti a partire dalla richiesta di misura cautelare del ricorrente per ottenere l’urgente sospensione dell’efficacia del provvedimento e quindi la ricollocazione lavorativa, ancor prima della decisione di merito del ricorso.
Cosa dicono i giudici che decidono i ricorsi
La motivazione alla base dei provvedimenti di rigetto dei giudici fa sempre riferimento al principio per il quale prevale la tutela della salute pubblica sull’interesse del singolo. Dunque, nel bilanciamento degli interessi contrapposti in gioco, resta superiore quello pubblico che viene tutelato dalla normativa che ha previsto la somministrazione obbligatoria del vaccino per professionisti ed esercenti del comparto sanitario.
La vaccinazione è stata ritenuta requisito essenziale per poter svolgere la professione durante l’emergenza Covid per garantire la sicurezza delle cure e dell’assistenza, che è parte integrante del diritto alla salute di ogni cittadino. Resta ovviamente facoltà del medico/operatore ottenere la cessazione degli effetti pregiudizievoli della sospensione dal lavoro, adempiendo all’obbligo vaccinale.
In questi casi la misura estrema di sospendere il lavoratore non ha di certo carattere punitivo, ma è conseguente all’esigenza di contrastare la diffusione del virus e salvaguardare le persone con cui il medico/operatore sanitario viene a contatto nello svolgere le prestazioni di lavoro.
Ad ogni modo, stiamo parlando di una percentuale molto bassa del personale sanitario che non si è ancora immunizzato: circa l’1,8% (35mila persone), come risulta dall’ultimo report del governo e dell’Iss. La stragrande maggioranza di medici e lavoratori del settore ha infatti aderito alla campagna vaccinale, adempiendo all’obbligo di somministrazione che la legge ha previsto per la loro categoria.