Voto ai diciottenni per il Senato. Convince questa modifica della Costituzione?

Approvata definitivamente al Senato la proposta di legge costituzionale che prevede la riduzione dell’età da 25 a 18 anni, per essere elettori dei membri del Senato della Repubblica.
La legge si compone di un unico articolo che modifica il requisito anagrafico fissato all’art. 58 della Costituzione dell’elettorato attivo dei senatori, che viene parificato a quello dei deputati la cui elezione si svolge a “suffragio universale e diretto“.
Lo scorso 9 giugno la Camera aveva approvato in terza lettura il disegno di legge senza però raggiungere il quorum dei due terzi, pertanto, per l’entrata in vigore della modifica costituzionale, dovranno trascorrere tre mesi durante i quali potrà essere richiesto un referendum confermativo ai sensi dell’art. 138 della Costituzione, da un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
Parificando l’età anagrafica per eleggere i componenti di Camera e Senato, viene meno una delle tre differenze che incidono sulla composizione dei due rami del Parlamento. Gli altri elementi di differenziazione sono il sistema elettorale e il requisito anagrafico dall’elettorato passivo, fissato in 25 anni di età per i deputati e 40 anni per i senatori.
Superamento dei motivi dell’originaria differenziazione
L’ampliamento dell’elettorato per il Senato è stato motivato dall’esigenza di favorire una maggiore partecipazione dei giovani alla vita politica, considerando superate quelle ragioni che, in un contesto storico e sociale profondamento diverso, spinsero i Costituenti a riconoscere al Senato caratteristiche di maggiore maturità ed equilibrio escludendo dal corpo elettorale di questa Assemblea i più giovani.
Del resto, si deve pensare che all’epoca della formulazione dell’art. 58 della Costituzione – approvata il 22 dicembre 1947 – era stato recentemente introdotto il suffragio universale per le donne e solo poco più di un trentennio prima esistevano forti limiti anche al voto del corpo elettorale maschile, legati al censo e all’istruzione.
Altro elemento che giustifica la modifica costituzionale è che la differenziazione voluta dai Costituenti aveva comunque una portata modesta, al tempo infatti la soglia per la maggiore età era fissata in 21 anni. La distanza tra le due basi elettorali si è poi ulteriormente allungata quando la maggiore età è stata abbassata al compimento dei 18 anni con la legge n. 39 del 1975. Passaggio legislativo che indubbiamente ha inciso su quell’equilibrio originariamente deciso in Costituzione che stabiliva una differenza di soli 4 anni tra i due requisiti anagrafici degli elettori delle due Camere, poi quasi raddoppiata passando a 7 anni.
Dubbi su metodo e fine
Pur sembrando ragionevole la modifica dell’età anagrafica per l’elettorato del Senato, genera seri dubbi la strada che si sta percorrendo con un intervento che riduce ancora di più le differenze tra Camera e Senato. Viene così ulteriormente svilito il significato del bicameralismo stesso.
In sostanza le perplessità sono sia sul metodo che sulla visione dell’assetto istituzionale che è alla base di questa revisione.
Di metodo poiché, come per la legge costituzionale che ha deciso il taglio dei parlamentari, si interviene con una modifica puntuale e isolata della Costituzione, avulsa da una riforma complessiva dell’architettura istituzionale che ripari alle attuali problematiche per rafforzare il ruolo del Parlamento quale sede politico-legislativa.
In secondo luogo, non si comprende perché procedere con una misura che riduce ancora di più le differenze tra Camera e Senato, se già da qualche decennio uno dei temi principali al centro del dibattito sulle riforme è la necessità di diversificare le due Camere.
Molti costituzionalisti hanno infatti sollecitato un superamento del bicameralismo paritario che ha di fatto indebolito il Parlamento, che soccombe al sistematico abuso del meccanismo della fiducia ai decreti legge che, oltretutto, vengono ormai esaminati solo da una Camera – in prima lettura – per essere confermati passivamente dall’altra, senza alcuna possibilità di incidere sui testi.
Quindi seppure l’estensione dell’elettorato del Senato di per sé sembra un’iniziativa opportuna, resta una modifica ben lontana da interventi che possano migliorare la funzionalità del Parlamento e sembra andare nella direzione opposta alla possibilità di pervenire all’auspicata riforma del bicameralismo paritario che differenzi le funzioni delle due assemblee.