Donne e politica: a fronte di una maggiore presenza, cosa ancora non va?

Come ogni anno arriviamo a celebrare la festa della donna con i soliti dibattitti, più che mai aperti e colmi di retorica, sulla parità di genere e sui tanti ostacoli che le donne devono ancora oggi affrontare, per vedersi riconosciute le medesime possibilità rispetto agli uomini nel mercato del lavoro, nel sociale e, in generale, nelle sedi decisionali del Paese.
La pandemia è riuscita ad amplificare e peggiorare anche le disuguaglianze e le discriminazioni a svantaggio delle donne e che dipendono, tra l’altro, dall’assenza di adeguate azioni che consentono un’effettiva conciliazione tra lavoro (o ricerca di un’occupazione) e gestione della famiglia, impegno che resta più a carico della donna che dell’uomo, a partire dalla crescita dei figli fino ad arrivare all’assistenza dei familiari anziani o disabili.
La presenza delle donne nelle istituzioni
Si è riproposta recentemente, in particolare, la necessità di una maggiore rappresentanza femminile nelle istituzioni, in occasione della nomina dei ministri del governo guidato da Mario Draghi. Ha infatti suscitato non pochi malumori la scarsa presenza di ministre nell’esecutivo, che ha visto su 23 ministri solo 8 nomine, di cui 5 alla guida di dicasteri senza portafoglio.
Uno scenario ben poco edificante, se si pensa alle tante “belle” parole che si sprecano quotidianamente in politica sull’equilibrio di genere e la promozione dell’inclusione delle donne. E non è apparso risolutorio il successivo aumento, in extremis, della presenza di donne nella compagine di governo con le 19 nomine al femminile tra cariche di viceministro e sottosegretario, su un numero complessivo di 39.
Non è andata meglio nei precedenti due governi della legislatura in corso. Nel governo Conte I su un totale di 19 ministri, sono state nominate 6 ministre, di cui quattro senza portafoglio, mentre le sottosegretarie sono state 5 su 47 nomine. Nell’esecutivo Conte II, erano presenti 8 ministre su un totale di 23 ministri e 14 sottosegretarie su 42.
Questa situazione sembra scontrarsi con il dato positivo che ha visto, nelle ultime due legislature, un maggior numero di donne entrare in Parlamento, superando il dato storico che registrava una presenza ben al di sotto del 30 % degli eletti.
Con le elezioni politiche del 2013, la presenza femminile nel Parlamento italiano ha raggiunto il 30,1 % dei parlamentari eletti (198 alla Camera; 92 al Senato), per arrivare nella XVIII legislatura al 35 % (225 alla Camera; 109 al Senato) con le elezioni del 2018, svolte in base alla legge elettorale n. 165 del 2017, che prevede misure per promuovere la parità di genere nella rappresentanza politica.
Esiste un’effettiva rilevanza politica?
Si tratta comunque di un insufficiente miglioramento numerico ottenuto in decenni di storia della Repubblica a cui, rispetto a molti altri Paesi UE, non corrisponde una sostanziale rilevanza politica delle donne, soprattutto per la loro limitata presenza nei ruoli di vertice e quindi di maggiore espressione del potere.
Basti anche pensare che nessuna donna in Italia ha mai rivestito la carica di Capo dello Stato o di Presidente del Consiglio.
Ora, senza ripercorrere gli storici ostacoli che limitano la presenza delle donne in ruoli apicali – a partire dal pesante retaggio culturale che in questo senso il nostro Paese continua a portarsi dietro – ci si è anche chiesti se all’interno dei partiti non debba esserci una maggiore audacia da parte delle donne nel ricercare con forza quei ruoli di comando che meritano, poiché purtroppo non sono conquiste che avvengano in base a regole e iter prestabiliti che fanno il loro corso e sono uguali per tutti.
Nel calderone quindi delle azioni indispensabili affinché ci sia un più importante peso delle donne in politica, è auspicabile una maggiore consapevolezza di non poter dare nulla per scontato, mostrando una costante determinazione nel far valere le proprie posizioni politiche con l’intento di ambire a delle conquiste, anche attraverso l’espressione di un sano dissenso nei dibattiti di partito.
In sostanza, ad esempio, una reazione di disapprovazione su ruoli non ricevuti come in occasione della formazione del governo Draghi, seppure giusta e legittima, è già di per sé tardiva e può essere il sintomo di una mancata e preventiva discussione interna, per ottenere quelle nomine e in generale i ruoli di cui si ha diritto per competenza e carriera politica.
Questa vuole essere una semplice considerazione nell’ambito della più ampia e annosa questione che riguarda l’equilibrio di genere, nella convinzione che è indispensabile un più incisivo impegno per garantire la leadership femminile ad ogni livello decisionale, economico e della vita pubblica. Non solo, dunque, per rappresentare gli interessi e i diritti legati alla condizione di donne e che, nel 2021, necessitano ancora di cruciali traguardi da raggiungere.