Licenziamento del lavoratore che rifiuta il vaccino anti-covid? Facciamo il punto

Uno degli aspetti più singolari di questa pandemia è quello di aver messo, più volte, a dura prova un principio cardine del nostro ordinamento, quello della certezza del diritto. L’individuazione del quadro giuridico applicabile alle molteplici situazioni collegate all’emergenza è stata infatti, non di rado, oggetto di dibattiti e posizioni contrapposte. Ciò anche a partire dal bilanciamento degli interessi in gioco che è necessario operare quando sono coinvolti diritti fondamentali della persona, come quello alla salute.
Non di meno questo accade quando si parla di vaccini, tema che, al di là delle problematiche interpretative in campo giuridico, è ormai insidioso e discusso sotto molteplici aspetti, complice anche una dannosa campagna di disinformazione e false notizie, che negli ultimi anni ha preso piede, specialmente attraverso il web, allo scopo di insinuare dubbi sulla loro sicurezza ed efficacia.
Era quindi prevedibile che con l’approvazione dei primi vaccini anti-Covid e l’inizio della campagna vaccinale, ci sarebbero state non poche difficoltà, anche in campo giuridico, nel gestire le conseguenze determinate da coloro che non intendono vaccinarsi.
A prescindere dalla difesa della scienza e dall’importanza di questo trattamento sanitario a tutela della salute pubblica, è così che si è aperto un dibattito sulle azioni esperibili nell’ambiente di lavoro, nei confronti di coloro che rifiutano il vaccino.
Cosa può fare il datore se un lavoratore non intende vaccinarsi?
In questi casi, alcuni giuristi hanno attribuito al datore di lavoro, senza mezzi termini, la possibilità di provvedere direttamente al licenziamento del dipendente.
Più cauta è, invece, altra parte degli esperti che sostiene la mancanza delle condizioni per poter riconoscere al datore un generico potere di licenziare il lavoratore, che non vuole vaccinarsi contro il covid.
A oggi, infatti, non c’è alcuna legge che rende obbligatorio questo vaccino e l’obbligatorietà resta un requisito necessario per poter assumere specifiche e drastiche misure nei confronti di chi è obiettore.
Ricordiamo, ad esempio, che è legittimo non ammettere negli asili nido e nelle scuole materne i bambini sprovvisti di certificato vaccinale e sanzionare i genitori che non hanno provveduto a far vaccinare i propri figli, solo nel caso in cui si tratta di vaccini che la legge ha reso obbligatori (es. le vaccinazioni anti-poliemelitica, anti-difterica, anti-morbillo, ecc.).
In assenza di un’imposizione, ne consegue che i provvedimenti volti in qualche modo a sanzionare chi non si vaccina non possono essere considerati legittimi.
Allo stesso modo, non convince l’argomentazione di chi individua la possibilità di procedere al licenziamento in base alle disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro (art. 2087 c.c.), che stabiliscono che il datore deve adottare le misure necessarie per tutelare la salute e la sicurezza del lavoratore. Si tratta di un precetto che non può essere interpretato fino a riconoscere al datore la possibilità di imporre una vaccinazione non obbligatoria o, comunque, il potere di procedere al licenziamento immediato solo perché il lavoratore è obiettore.
In mancanza di specifici provvedimenti, tra l’altro, resta un’incognita come il datore di lavoro dovrebbe venire a sapere che un proprio dipendente abbia fatto o meno il vaccino, considerando che la campagna vaccinale è gestita dagli enti sanitari e i lavoratori non sono tenuti a riferire questo tipo di informazioni al datore.
Con ciò non si può però negare la necessità di individuare iniziative utili a limitare i rischi per la comunità, determinati da quella parte di persone che non vuole vaccinarsi, soprattutto quando si tratta di lavoratori del settore sanitario e, in particolare, delle residenze sanitarie assistenziali (rsa).
Allora come evitare che chi non si vaccina sia un rischio nei luoghi di lavoro?
Come spesso è necessario, la strada migliore è quella di procedere ad una valutazione caso per caso per applicare norme e strumenti giuridici già esistenti.
Avuta notizia di un dipendente che ha rifiutato il vaccino, il datore innanzitutto dovrebbe verificare se il lavoratore resta idoneo alle proprie mansioni e, in caso contrario, potrebbe ricorrere al collocamento in smart working o attribuire mansioni differenti. In mancanza delle condizioni necessarie per procedere in questo senso, il lavoratore potrebbe essere messo in aspettativa non retribuita, sulla motivazione della temporanea inidoneità al lavoro e, solo in ultima analisi, valutare il ricorso al licenziamento, se l’impossibilità al lavoro diventi definitiva.
Si ritiene, quindi, di dover escludere il riconoscimento in modo semplificato e generico della possibilità di licenziare il lavoratore, fatta salva la necessità di iniziative per evitare rischi sul luogo di lavoro.
Ad ogni modo, quanto meno, sulla percentuale di persone che non vogliono vaccinarsi c’è un dato positivo che risulta da un’indagine di SWG e che riferisce una diminuzione dei contrari alla vaccinazione anti-covid, che, nel periodo che va dal 20 novembre 2020 all’8 gennaio 2021, sono passati dal 37 % al 25%, inoltre, il 59% si è dichiarato aperto all’ipotesi di rendere obbligatorio il vaccino.
Pertanto, anche alla luce di questo trend, tutto sommato positivo, unitamente alle indicazioni nei protocolli sanitari anti-covid e in attesa di annunciati provvedimenti del governo per garantire il buon esito della campagna vaccinale, una delle iniziative più efficaci è il costante impegno informativo delle istituzioni per far venir meno scetticismo e paure non fondati sui vaccini, che restano strumenti vitali della sanità pubblica, per tutelare la salute individuale e dell’intera collettività.