Le sentenze che annullano le teorie giustizialiste. Ma non il danno

Dopo anni di gogna, tra indagini e processi svolti con grande clamore mediatico, le recenti assoluzioni dell’ex presidente della regione Campania, Antonio Bassolino, e dell’ex ministro, Calogero Mannino, hanno riproposto tutte le gravi anomalie di un sistema che consente di devastare la vita privata e pubblica di una persona mediante inchieste e impianti accusatori dei pubblici ministeri, che vengono poi duramente stroncati dai verdetti definitivi della magistratura.
È lungo l’elenco di persone, che ricoprivano incarichi pubblici, dapprima accusate di aver commesso gravi reati, poi risultate innocenti, solo dopo aver subito lunghi processi e, in alcuni casi, misure restrittive della libertà personale, con tutto quello che ne consegue in termini di esposizione alla pubblica opinione.
Una riflessione sulla gestione di queste vicende giudiziarie richiama, inevitabilmente, la discussa contrapposizione tra due concezioni, da una parte quella garantista, che privilegia la tutela costituzionale dei diritti individuali dei cittadini rispetto al potere pubblico e dall’altra quella giustizialista, che poggia sul primato del potere punitivo dello Stato – anche attraverso una giustizia sommaria – ponendosi come portatrice di istanze provenienti dai cittadini. Senza entrare nel merito di questo eterno scontro, anche portato all’estremo, tra i diritti della persona e il potere punitivo dello Stato, va posta l’attenzione sulle conseguenze di storie come quelle di Bassolino e Mannino e di tutti quei politici ed amministratori, che, con grande enfasi dei media, sono stati di fatto condannati ancora prima delle pronunce dei giudici.
Violazione di diritti fondamentali della persona
Innanzitutto, non esiste risarcimento che possa riparare il danno a chi ha subito anni di violazione di diritti fondamentali della persona, in primis quello alla reputazione e alla dignità – soprattutto se si svolge un ruolo politico – per accuse infamanti che lo hanno isolato e costretto a lasciare la vita pubblica.
Al riguardo, sul caso dell’ex Ministro siciliano Mannino, assolto dopo trent’anni trascorsi sotto inchiesta e processo sulla cosiddetta trattativa Stato-Mafia, il presidente dell’Unione delle Camere Penali italiane, l’avvocato Gian Domenico Caiazza, più volte intervenuto in dura condanna al ricorso incauto degli strumenti processuali penali, con una lunga nota pubblica esordisce provocatoriamente: “Lo Stato non ha nulla da dire a Calogero Mannino?”.
Su queste parole, oltre a venire in rilievo il pregiudizio causato dalle lungaggini processuali, ciò che lascia sgomenti è che dei pubblici ministeri portino avanti tesi accusatorie, che si dimostrano successivamente infondate, illogiche ed incongruenti nella ricostruzione definitiva dei fatti, quando ormai l’imputato, seppure poi assolto, ha già patito la condanna ad anni di vita stravolti per accuse ingiuste, di reati non commessi.
Quando queste vicende giudiziarie coinvolgono chi riveste un ruolo pubblico, si aggiunge che le ripercussioni vanno oltre il singolo caso personale, poiché possono incidere su degli equilibri politici cruciali.
Tra funzioni della magistratura e ruolo dell’informazione
Queste storture non vanno ovviamente attribuite ad un’intera categoria della magistratura, che è invece composta in gran parte da tecnici del diritto che assicurano l’esercizio delle loro funzioni, con competenza e correttezza.
L’anomalia principale viene da un sistema che, come evocato da più parti, richiederebbe una riforma allo scopo di rivedere il modus operandi del magistrato del pubblico ministero, nell’ambito di un più ampio riordino dell’assetto ordinamentale della magistratura.
Non di meno, più di una riflessione va fatta sul ruolo dell’informazione e sulla necessità di trattare inchieste e notizie giudiziarie, tenendo conto del bilanciamento di diritti fondamentali che si contrappongono e che non possono essere mortificati da tempi e modi di divulgazione che privilegiano ricostruzioni forzate e che, volutamente trasmettono, a chi legge, la certezza di quelle che sono solo ipotesi accusatorie; ciò già a partire dai titoli enfatici di prime pagine. A questa prassi, di alcuni media, si contrappone quella, che, invece, vede affidare vicende giudiziarie che si chiudono con archiviazioni e assoluzioni ad articoli stringati e dai toni ben più sobri, dopo essere state sbandierate in modo roboante ai loro esordi.
Ed allora, per chi crede nello Stato di diritto che si basa su precise regole di accertamento della responsabilità penale, non è plausibile che, ancora prima di questa verifica, si individui un colpevole, senza dare alcun peso alle conseguenze irreparabili che possono abbattersi su quella persona, se è innocente.