Referendum costituzionale 2020: vince il Sì. Ora quali scenari possibili?
Oltre il 69% degli elettori ha detto Si alla riduzione dei parlamentari prevalendo sui No, che arrivano a poco più del 30%. Dalla prossima legislatura, quindi, siederanno in Parlamento 400 deputati e 200 senatori, con una riduzione di 345 eletti.
Adesso, mettendo da parte ogni ragionamento di merito che poteva valere prima del voto, è opportuno auspicare che questa modifica della Costituzione sia solo il primo tassello di una più ampia e adeguata riforma dell’assetto istituzionale, allo scopo di migliorare la qualità dei lavori parlamentari e il funzionamento della democrazia.
Per comprendere meglio gli scenari del dopo referendum, abbiamo rivolto alcune domande ad Alessandro Gigliotti, dottore di ricerca in Diritto Costituzionale presso l’Università di Roma “La Sapienza”.
Innanzitutto, quali riforme istituzionali dovrebbero seguire a questa modifica dott. Gigliotti?
Di per sé, le riforme indispensabili sono quella elettorale, per ridisegnare i collegi, e quella dei regolamenti parlamentari, che richiedono interventi più ampi e sistematici per evitare che i lavori delle Camere diventino scarsamente gestibili. Ma la maggioranza ha già raggiunto un accordo per apportare altri “correttivi”: non solo la legge elettorale, la cui modifica è però consequenziale e che quindi non sarebbe propriamente un correttivo, ma anche la modifica delle disposizioni costituzionali in tema di elettorato attivo del Senato (che scenderebbe dagli attuali 25 anni a 18, come per la Camera) e di elezione dello stesso a base “regionale”, che diverrebbe a base “circoscrizionale”. Segno che gli stessi promotori della riforma costituzionale in corso riconoscono che, senza questi correttivi, essa si palesa imperfetta.
È auspicabile il superamento del bicameralismo paritario?
Il superamento del bicameralismo paritario è la vera riforma che il Paese attende da anni sul fronte istituzionale. Ma si è preferito ricorrere ad una mera riduzione di seggi, che non incide sull’assetto del bicameralismo. Anzi: i due “correttivi” tendono ad eliminare gli unici caratteri che differenziano il Senato dalla Camera, quindi si va nella direzione diametralmente opposta.
Cosa accadrà se la riduzione dei parlamentari resterà una modifica isolata, in assenza di adeguati interventi?
Al Senato, le piccole regioni e le forze politiche minori saranno penalizzate: sia perché l’articolo 57 della Costituzione, sinora, prevedeva un minimo di 7 senatori per ogni regione, con l’obiettivo di sovrarappresentare quelle più piccole (mentre ora saranno solo 3), sia perché con pochi seggi nelle regioni più piccole saranno eletti solo i candidati dei partiti maggiori.
Sul piano dei lavori parlamentari, invece, senza una riforma dei regolamenti il Senato rischia una paralisi di funzionamento, in particolare perché sarebbe difficile gestire 14 commissioni permanenti con soli 200 senatori, alcuni dei quali potrebbero, peraltro, far parte del governo e quindi essere fuori causa.
Come si pone la legge elettorale con la riduzione dei parlamentari?
Occorre senz’altro modificare i collegi, ma più in generale andrebbe valutata la compatibilità tra il sistema vigente e il nuovo assetto. Del resto, la Commissione Affari costituzionali della Camera sta già esaminando un testo di riforma elettorale, di impianto proporzionale con liste bloccate e soglia di sbarramento al 5 per cento. Quello che però sembra sfuggire è che, al Senato, un sistema proporzionale con collegi plurinominali molto piccoli, da 3-5 seggi, funziona in modo assai poco proporzionale. Quindi si invoca un sistema proporzionale dopo aver approvato una riforma che, al Senato, esclude a priori l’esito proporzionale o lo rende alquanto improbabile. Un’aporia sulla quale occorre riflettere attentamente.
In conclusione
Solo il tempo consentirà di verificare, ulteriormente, gli effetti di questo approccio graduale che si è voluto scegliere, per rinnovare l’assetto delle Istituzioni e dei lavori parlamentari. Vedremo se questa metodologia, per fasi, raggiungerà il suo scopo rispetto alle proposte di riforma della struttura costituzionale, avanzate negli anni precedenti, che risultavano più complesse perché parte di più articolati disegni.
Al momento, non c’è dubbio che al taglio dei parlamentari debbano seguire i dovuti adeguamenti normativi e, per procedere, restano ancora diversi nodi da sciogliere.
In mancanza del giusto completamento di questa riforma “imperfetta”, la riduzione della rappresentanza in Parlamento, oltre a comportare un danno, tradirà quella parte di elettori, che hanno scelto di votare Si, esclusivamente, nella speranza che si potesse dare inizio ad un percorso di riformismo istituzionale e non, di certo, ad una demolizione della democrazia parlamentare, come conquista di chi si fa promotore di istanze populiste e anti élite, che non fanno bene alla buona politica.