Proroga stato di emergenza: tra merito e metodo, a che punto siamo

Solo poche settimane fa il presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, aveva dichiarato la sua intenzione di prorogare lo stato di emergenza sanitaria Covid-19, addirittura fino al 31 dicembre 2020.
Tale ipotesi ha subito scatenato un’accesa reazione da parte delle opposizioni, che hanno messo in dubbio non solo l’esistenza dei presupposti per un prolungamento dell’emergenza, ma, soprattutto, la natura dei provvedimenti scelti dal governo per l’adozione delle eventuali ed ulteriori misure restrittive.
Nello specifico, la proroga, oltre a rinnovare l’efficacia delle misure già adottate per fronteggiare l’emergenza sanitaria, consentirebbe al governo e alla Protezione civile di mantenere dei poteri speciali, che, nel rispetto di principi generali dell’ordinamento, permettono di intervenire in deroga alle disposizioni di legge vigenti.
Ciò comporta, ad esempio, una maggiore celerità e snellezza delle procedure di acquisto per l’approvvigionamento di quanto necessario, in base alle specifiche esigenze del periodo: dal materiale indispensabile per far ripartire le scuole, ai dispositivi di protezione e sicurezza.
È chiaro che delle soluzioni per continuare a gestire i rischi di nuovi contagi vanno adottate, poiché permangono i timori legati all’incertezza sull’evoluzione dell’epidemia, considerando che il virus ancora resiste e circola. Tuttavia, è stata rilevata la necessità di verificare e sottoporre al Parlamento i dati sanitari e le condizioni a supporto di un prolungamento dello stato di emergenza, nonché ogni decisione dell’esecutivo per gestire il fenomeno. A fronte del dibattito politico che ne è seguito, il governo ha optato per un breve prolungamento al 31 luglio, delle disposizioni per contenere il Covid-19, prendendosi alcuni giorni per valutare ogni ipotesi alternativa ad una più estesa proroga.
Il Presidente del Consiglio interverrà in Parlamento prima di disporre la proroga dello Stato di emergenza
Da ultimo, il tema è stato portato all’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri, tenutosi lo scorso 22 luglio, nell’ambito del quale, sebbene il Presidente Conte abbia espresso la necessità di disporre una proroga fino al 31 ottobre, la maggioranza ha deciso di non formalizzare il prolungamento dell’emergenza, se non prima di un passaggio in sede parlamentare. Dunque, il governo ha preso atto dei malumori che si sarebbero generati rispetto ad una proroga automatica ed ha deliberato di portare la questione in Parlamento, per ogni successiva decisione. Ad ogni modo, al di là delle motivazioni che possano giustificare una proroga, resta in primo piano la diatriba sugli strumenti giuridici idonei a cui fare ricorso. Al riguardo, ricordiamo che l’esecutivo per contenere e gestire l’epidemia, seppure in attuazione di un Decreto Legge, ha adottato dei DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), con i quali ha introdotto le misure restrittive che ha ritenuto opportune.
Pertanto, nella consapevolezza della necessità di provvedimenti rigorosi, soprattutto nella fase acuta dell’emergenza, sono stati, tuttavia, sollevati molti dubbi sull’adeguatezza e conformità al dettato costituzionale dei provvedimenti scelti per incidere sulle libertà fondamentali dei cittadini, dalla libertà di circolazione a quella di iniziativa economica. I DPCM, infatti, restano dei meri atti amministrativi, non sottoposti ad alcun esame da parte del Parlamento. Pertanto, alcuni costituzionalisti hanno messo in evidenza l’esigenza di restituire al Parlamento il suo ruolo centrale di potere legislativo, per i provvedimenti che si riterranno indispensabili e urgenti per la gestione e il contenimento del virus. Ciò allo scopo di garantire, nell’adozione di iniziative particolarmente restrittive per i cittadini, il rispetto di limiti in
proporzione alle singole necessità, che solo l’iter di esame parlamentare è idoneo ad assicurare.
In base a questa visione, quindi, gli strumenti giuridici a cui fare ricorso restano esclusivamente i Decreti legge poiché, sebbene una mala prassi li abbia trasformati, di fatto, in ordinari atti con forza di legge dell’esecutivo, hanno natura di provvedimenti da emanare “in casi straordinari di necessità e d’urgenza” (art. 77 Costituzione), qual è, per l’appunto, un’emergenza sanitaria.