Il primo incontro con le opere di Renata Rampazzi suscita un certo stordimento. Trovarsi davanti il rosso vivido delle sue tele significa affrontare il disagio, la rabbia e la voglia di riscatto legati alla questione della violenza sulle donne che l’artista porta in mostra. Cruor, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, a cura di Claudio Strinati, è esposta al Museo Carlo Bilotti di Villa Borghese a Roma dal 17 settembre 2020 al 10 gennaio 2021.

Crour
In latino significa “sangue” ed è il tema che ripercorrono i 14 dipinti, le 46 tele e studi preparatori e, in ultimo, l’installazione che chiude la personale. Questa, composta da 36 garze dipinte, invita il visitatore a immergersi all’interno di un corridoio di sensi. L’installazione è realizzata in collaborazione con la scenografa Leila Fteita e viene esposta per la prima volta nella sede della Fondazione Cini di Venezia. Le garze sono pitturate con terra e pigmenti mischiati tra loro e simboleggiano le medicazioni delle ferite che le donne vittime di violenza subiscono. Una scala cromatica di rossi ci guida all’interno del tunnel di drappi di 4×1 metri, appesi al soffitto su piani sfasati, regalandoci una sensazione di alienazione emotiva, a favore della sola sofferenza causata dalle violenze subite. L’atmosfera che viene a crearsi nell’installazione rappresenta secondo il critico e curatore Strinati le fasi evolutive dalla sofferenza alla catarsi e viene poi enfatizzata melodicamente dalle musiche di Minassian, Ligeti e Gerbarec in sottofondo. Renata Rampazzi, pittrice torinese degli anni Settanta, conduce fin da giovane svariate battaglie a favore della parità di genere e dell’emancipazione delle donne. Ogni pennellata presente sulle tele, grazie soprattutto alla pittura materica e densa che l’artista rappresenta, evoca l’energia e l’impegno nel dipingere con uno scopo preciso: la denuncia della condizione femminile per troppo tempo ignorata. Le opere presenti vanno dal 1977 al 2020 e si chiamano Composizioni, Lacerazioni, Ferite, Sospensioni Rosse, fino al labirinto conclusivo, Cruor.

Un fardello comune
Percorrendo le sale dell’esposizione si ha come la sensazione di farsi carico di un peso, un grande masso invisibile – o per lo meno invisibile finora – che rappresenta il problema della violenza di genere. Il sangue in questione è quello di tutti, è il sangue delle vittime, dei deboli, degli esclusi, il sangue degli ultimi. Tutti devono sentirsi fisicamente (come nel caso dell’installazione) ed emotivamente parte del problema ed essere una voce in più a denunciare. La tensione morale che il tema porta con sé è la stessa che il visitatore avverte in mostra, mentre cerca di interpretare i segni vividi e materici delle tele. Quelli della Rampazzi sono pochi tratti ma carichi di significato che non vogliono rappresentare l’atto della violenza ma il momento successivo, la tragica devastazione che ne deriva e che porta all’annullamento di sé stesse. La mostra è accompagnata da un catalogo, Edizioni Sabinae, con testi di Dacia Maraini, Maria Vittoria Marini Clarelli e Claudio Strinati insieme a una testimonianza dell’artista. Parte del ricavato delle vendite sarà devoluto all’Associazione Differenza Donna.