Jan Karski, l’uomo che scoprì l’Olocausto
Dare una rappresentazione di una tragedia storica come l’Olocausto attraverso la letteratura.
Numerosi autori, registi, scrittori hanno fornito una rappresentazione storica e veritiera del genocidio di cui furono responsabili i nazisti, che ammazzarono e disumanizzarono le vite di circa 17 milioni di ebrei e minoranze etniche.
I sopravvissuti sono pochi, si contano sulle punte delle dita e uno di questi è Jan Karski: militare polacco, nato a Lodz nel 1914, durante la seconda guerra mondiale fu esponente dell’Esercito Nazionale, il principale gruppo polacco di resistenza al nazismo.
Con il suo impegno e il suo coraggio riuscì a far conoscere la situazione del suo paese all’estero e soprattutto la realtà drammatica dei campi di sterminio, tanto che venne insignito del titolo di Giusto tra le nazioni.
Le sue gesta e in realtà tutta la sua storia sono state raccontate in un romanzo pubblicato da Adelphi “La mia testimonianza davanti al mondo: storia di uno stato segreto”, ma oggi si è deciso di fare un passo avanti con questo personaggio.
Il giornalista Marco Rizzo in collaborazione con il disegnatore Lelio Bonaccorso hanno dato vita alla graphic novel “Jan Karski. L’uomo che scoprì l’Olocausto” , in uscita in edicola con il quotidiano L’Espresso, in occasione della Giornata della Memoria: due anni di lavoro, che hanno portato alla nascita di 140 pagine piene di storia.
Raccontare una pagina della storia del mondo così nera e così piena ancora di cose da rivelare attraverso una graphic novel, era qualcosa di complesso e molto delicato. Ma Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso sono riusciti a farlo, a far passare il coraggio, la determinazione, la paura di un uomo che non si fermò di fronte a nulla e che con i suoi occhi vide le brutalità e le numerose sofferenze dentro i campi di concentramento.
Gli stessi volti dei protagonisti di questa graphic novel, come i colori e i dialoghi brevi, composti in realtà da moltissimi silenzi, danno vita ai sentimenti del lettore che guarda e si documenta: spigolosità sui visi, occhiaie profonde e pianti silenziosi di chi non può esprimere completamente la propria sofferenza perché infiltrato e non può farsi sentire.
Camminare in mezzo a un mare di cadaveri e di corpi non rispettati, come succede a Jan Karski quando viene mandato come infiltrato nel campo di sterminio di Izbica Lubelska, con la richiesta di visitare il luogo per riportare l’inferno a cui assisterà inerme.
Jan si trova così di fronte a una folla di deportati ebrei deliranti: uomini e donne che si muovono avanti e indietro, alcuni urlano, altri agitano solo le braccia senza mai fermarsi. I deliri della fame e della sete a cui sono sottoposti li portano ad un livello di disumanizzazione estremo.
Jan non può fare nulla per quello che i suoi occhi (ma soprattutto la sua mente e il suo cuore) vedono, il caos, lo squallore, la mostruosità a cui lui assiste, l’odore di morte che aleggia costantemente intorno a lui; non può camminare normalmente, ma fa lo slalom tra i corpi umani gettati a terra.
I colori sono scuri, il nero e il grigio la fanno da padrone e non solo per richiamare i tipici colori autunnali del periodo storico di riferimento, ma principalmente perché riescono a definire un quadro che al lettore arriva come un pugno nello stomaco.
Chiunque affronti la lettura di una storia come questa, pensa inizialmente di sapere a cosa va incontro: la realtà dei fatti è ben differente, perché non si è mai davvero pronti per guardare con i propri occhi anche solo una ripresentazione di qualcosa che nella nostra storia è avvenuta veramente.
Una vita umana come quella di Jan Karski a cui bisogna dare ancora più voce, perché TUTTI nel mondo possano credere a questa pagina nera e che nessuno possa anche solo mai pensare che non si accaduto.