Le nostre anime di notte. La recensione del libro di Kent Haruf
Meraviglioso libro, Le nostre anime di notte. Specie nella prima parte in cui Addie e Louis, i due protagonisti della storia, decidono di condividere le loro notti assieme, parlando e tenendosi vicini. Sono entrambi vedovi ed avanti con l’età, per cui la meraviglia è già tutta racchiusa nella semplicità del loro primo incontro:
Quando Louis le aprì la porta, lei disse, Posso entrare a parlarti di una cosa?
Sedettero in salotto. Vuoi qualcosa da bere? Un tè?
No, grazie. Non so se mi fermerò abbastanza per berlo. Si guardò introno. E’ graziosa la tua casa. (…)
Nei dialoghi spezzati, così tipici di Haruf, accostato a Raimond Carver, ma anche ai dipinti di Hopper, anch’essi deliziosi camei di straordinaria efficacia narrativa, si trova tutta l’emozione del progressivo conoscersi di due individui che scelgono di aprirsi l’uno all’altro:
Che altro vuoi sapere?
Da dove vieni. Dove sei cresciuta.
Com’eri da ragazza. Com’erano i tuoi genitori.
Che rapporti hai con tuo figlio. Come mai ti sei trasferita ad Holt. Chi sono i tuoi amici. In cosa credi.
Ci divertiremo un sacco a parlare, eh? Disse lei
Anch’io voglio sapere tutto di te.
Non abbiamo fretta, disse lui.
No, prendiamoci il tempo che ci serve.
Tutto il tempo che serve al conoscersi, allo stare insieme, al viversi lentamente assaporando ogni momento, e non importa se l’età è ormai avanzata, se le difficoltà non mancheranno. L’amicizia, l’amore, ogni relazione umana, ha bisogno di tempo, appunto “tutto il tempo che serve”.
Più avanti nella storia, Addie e Louis condividono anche le giornate, quando arriva il nipote di Addie, frastornato dalla separazione temporanea dei genitori, e poi il cane che Louis gli compra e che, assieme alla quotidianità dei due anziani, riporterà equilibrio nella vita del ragazzo. Man mano che Addie e Louis di avvicinano sempre più, questo desta scandalo, dapprima nella piccola comunità di Holt, dove infine vengono accettati come coppia, ma soprattutto presso il figlio di Addie che, quando la madre rimane vittima di un incidente ed è costretta a trasferirsi in una casa di riposo, le imporrà di scegliere tra il rivedere il nipote oppure Louis. Addie sceglierà il bambino, salvo poi telefonare nuovamente, di nascosto dal figlio, a Louis e cominciare un nuovo modo di farsi compagnia a distanza, non meno affettuoso, non meno carico di speranza per il futuro e di serenità per il presente.
La bellezza della storia è soprattutto nell’idea originale della prima parte, con questa forma di amore senza pretese e senza progetti, questo “stare insieme per farsi compagnia” che nulla rinnega del passato di ciascuno ma è semplice stare assieme, bellissimo e forse possibile solo in età avanzata, quando è più facile mettere da parte aspettative e rivendicazioni, a favore di una semplice comunione del tempo.
La quotidianità delle giornate risulta meno originale di quella notturna, e foriera di una normalità che ben poco avrebbe di letterario, ma la novità della separazione forzata rimette indietro in qualche modo le lancette della storia, promettendo un nuovo originalissimo inizio.
(…) E’ come quando abbiamo cominciato a vederci. Come se avessimo ricominciato. E sei sempre tu quella che deve prendere l’iniziativa. L’unica differenza è che adesso siamo cauti.
Ma stiamo andando avanti, non è vero? Disse lei.
Stiamo continuando a parlare. Fin quando potremo. Finché dura.
Di cosa vuoi parlare stasera?
Addie guardò fuori della finestra. Vedeva il proprio riflesso nel vetro. E l’oscurità subito oltre.
Fa freddo lì stasera, tesoro?
Leggere Haruf e le sue anime di notte è come ricevere la promessa che qualcosa di nuovo, qualcosa di bello, può ancora accadere, anche quando nulla sembra farlo supporre, anche quando sembra troppo tardi, quando sembra che tutto sia finito. E, invece, quello può essere solo l’inizio.
Recensione a cura di Silvia Marigonda