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Le sorprese sono appena iniziate e mi imbatto in Te veo Me veo, ma la mostra di Alberto Burri assorbe tutta la golosità e mi impone una sosta, il silenzio e una riflessione profonda. La commozione mi attanaglia a vedere quale poesia sia davanti ai miei occhi grazie a pezzi di juta mal cuciti, striscie sottili ricavate da tronchi di legno, legni combusti, campiture improvvise di colore, di chi sopravvissuto al campo di concentramento ha scelto di donare comunque vita.
Il traghetto mi porta di là dal canale, un amico mi segnala che è il caso di andare in Azerbaijan, che per fortuna è qui, a Campo S.Stefano, un crocevia praticamente obbligato. Azhirnan Yussuf mi lascia senza fiato fotografando una delle mie angosce esitenziali. Con felice intuizione, modulando abilità, modernità, media, video e luci riesce a farci vedere l’impatto dei media sugli esseri umani lasciandoci ben poche speranze di riscatto. Immagini in rapidissima sequenza scorrono inesorabili e velocissime su sfere, le nostre povere teste, senza lasciare traccia.
L’emozione è forte. Poco più in là nel cortile delle Generali, un’installazione di lastre di vetro di Natalie Decoster che scopriremo essere una nomade dell’arte di tutto rispetto, ci intrattiene sul suo percorso in tutto il mondo, e che presto, e le brillano gli occhi, toccherà Place Vendôme.