Una riflessione sul teatro: Molière e Paolo Rossi
Molière è uno dei più grandi drammaturghi che la storia del teatro abbia mai registrato, se ne intende bene il motivo, ma è anche uno dei meno rappresentati (in Italia) e di questo fatto il motivo non è altrettanto chiaro.
Forse aveva ragione Garboli quando sosteneva che gli italiani, specialmente i critici, non hanno mai compreso il valore “nascosto” di Molière, il suo profondo segreto o probabilmente, ma poco credibile, questo segreto a noi non racconta assolutamente nulla della nostra società, del nostro tempo.
Una cosa è certa: è estremamente difficile comprendere il talento di questo artista prescindendo dalla sua opera omnia, prescindendo dal fatto che oltre ad essere uno straordinario scrittore di teatro, Molière era anche un uomo di teatro, un attore, un capocomico.
Paolo Rossi, Giampiero Solari e Stefano Massini fanno emergere nel loro spettacolo questo, difficilissimo, nodo. Come fare a parlare di Molière, di tutto Molière, in un solo spettacolo? Come si può far comprendere quello strettissimo legame che esiste fra drammaturgia, vita scenica e vita reale? MOLIERE: LA RECITA DI VERSAILLES è la risposta a queste domande e sarà in scena al Teatro Vittoria dal 2 al 12 febbraio, ma fate attenzione: se la vostra intenzione è quella di vedere, semplicemente, uno dei testi “minori” di Molière o un suo riadattamento ho paura che rimarrete delusi. Questo spettacolo è molto di più.
In questo allestimento la vita, personale e professionale, di Paolo Rossi e della sua compagnia si intreccia a quella di Molière e della sua compagnia, i personaggi si confondono con le persone, la scena si mescola alla vita, perché è dalla vita, dalla strada che sono nati i grandi personaggi di Molière e alla vita bisogna tornare se vogliamo comprenderli e se vogliamo comprendere il complesso meccanismo che è alla base della creazione teatrale.
In questo continuo moltiplicarsi di persone e personaggi la teatralità (non il teatro) viene meno, vengono meno le convenzioni e i codici naturalistici, l’illusione si frantuma in mille pezzi lasciando scorgere l’unica essenza dell’arte teatrale, l’arte dell’attore. L’attore viene messo in primissimo piano, come anche l’essere umano-attore, ed è costretto a interrogarsi sul proprio mestiere, sul proprio ruolo in un tempo e in un mondo in cui ormai chiunque recita meglio di lui. Si approda, dunque, all’improvvisazione, alla decostruzione del testo, alla sua deflagrazione, al suo scontro con altri testi nel funambolico tentativo di far emergere altri significati, altri punti di vista.
Paolo Rossi ammette di “non aver mai vissuto una vera rivoluzione”, cerca allora, assieme a Massini e Solari, di creare una rivoluzione scenica, come fece Moliere. Vengono evocati Che Guevara, Papa Francesco e altri uomini, reali, che hanno cercato di cambiare le cose e in testa a tutti loro, Molière.
Alla fine dello spettacolo ho colto alcune frasi di due anziane signore che commentavano lo spettacolo: “A me non ha fatto molto ridere”, “Quella su Beckett l’ho trovata davvero di cattivo gusto”, “E il testo? Dov’era il testo”, “Quando un attore diventa vecchio dovrebbe fare solo i grandi classici, come faceva Gassman” … Solo allora ho capito che c’è bisogno, veramente, di una rivoluzione.